Amici vi chiedo un grande cortesia personale leggete e condividete, perchè la sanità è di tutti, grazie http://bit.ly/1a7xFPd
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giovedì
Il presidente IPASVI di Bari sulla disoccupazione infermieristica e gli accordi privilegiati in Albania
IPASVI Raccomandata
A.R. - Trasmissione PEC Bari, lì 10 maggio ’13 Protocollo n. 38/2013
Angelino Alfano Ministro dell'Interno
Emma Bonino Ministro Affari Esteri
Flavio Zanonato Ministro Sviluppo Economico
Enrico Giovannini Ministro Lavoro e Politiche Sociali
Maria Chiara Carrozza Ministro Istruzione, Università e Ricerca
Beatrice Lorenzin Ministro della Salute
Annalisa Silvestro Presidente Federazione Nazionale Collegi IPASVI
Presidenti Collegi IPASVI d’Italia
Loro sedi
Oggetto:
Infermieristica (e altre discipline) - formazione in Albania e occupazione in
Italia -Comunicazioni e riflessioni
L'Università "Nostra Signora di Buon Consiglio" di
Tirana, ha recentemente pubblicato un documento, che di seguito si riporta integralmente
per titolo e contenuti :
"Per gli studenti dell’UNINSBC possibilità di lavoro
immediato in Italia
Dichiarazione del prof. Gennaro Rocco, presidente del Corso
di Laurea in Infermieristica e Fisioterapia, docente di Infermieristica
Generale, Clinica e Pediatrica e docente di Pedagogia Sociale presso
l'Università "Nostra Signora di Buon Consiglio", Tirana, e
l'Università "Tor Vergata" di Roma, Italia.
I corsi di laurea di infermieristica e di fisioterapia
dell'Università NSBC di Tirana seguono gli stessi ordinamenti didattici delle
università italiane e, in particolare, dell'Università "Tor Vergata"
di Roma. Tali ordinamenti didattici prevedono l'acquisizione di 180 crediti
formativi universitari, che nel sistema europeo corrispondono a 180 CTS e che
consentono un facile riconoscimento del percorso di studi seguito da uno
studente. Questa scelta è stata molto lungimirante perché ci ha permesso di
raggiungere quello che oggi abbiamo, e cioè un riconoscimento immediato del
titolo di studio da parte delle autorità e delle istituzioni italiane.
Abbiamo fatto anche un'altra operazione molto interessante:
l'accordo di cooperazione didattica con le università italiane prevede anche di
rilasciare un titolo di laurea congiunto tra le due università convenzionate.
Mi spiego meglio. Avendo noi un organico di docenti che è quasi completamente
italiano - e quindi condiviso e nominato dalle autorità accademiche delle
nostre università di riferimento italiane - questo ci permette di avere la
possibilità di rilasciare un titolo che ha un valore giuridico contestuale, sia
nell'ordinamento albanese sia nell'ordinamento italiano
Inoltre, abbiamo consolidato una procedura con le autorità
italiane che permette agli studenti di avere un canale privilegiato per poter
esercitare la professione di infermiere o di fisioterapista in Italia e di
avere, come detto, il riconoscimento immediato del titolo di studio. Questo è
possibile proprio perché il titolo di studio viene rilasciato da un'università
italiana. In pratica, uno studente albanese che termina il suo iter di studi
presso la nostra Università fa il suo Esame di Stato italiano in Albania con le
stesse modalità adottate in Italia. Infatti, nella commissione esaminatrice
sono presenti - proprio come in Italia - oltre ai professori universitari,
anche i rappresentanti del Ministero della Sanità italiano e i delegati degli
Organismi che rappresentano le categorie professionali.
Possiamo così trasmettere alle autorità ministeriali
italiane i verbali delle sedute di laurea sottoscritti anche da parte del
Rettore dell'Università convenzionata (nel nostro caso "Tor
Vergata"). A questo punto il Ministero della Sanità, che è deputato alla
verifica dei titoli e al loro riconoscimento, senza ulteriori adempimenti
trasmette la documentazione agli Ordini professionali, cosa che consente
l'immediata possibilità di esercitare la professione in Italia. Ben diversa, e
molto più complessa è, invece, la procedura per tutti gli altri cittadini, sia
europei che extra-europei, che pure hanno conseguito titoli analoghi nei
rispettivi Paesi.
Questo é un grande privilegio e una novità, perché anche
nella libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea - dove esistono da
decenni regole per il riconoscimento dei titoli - un cittadino inglese o
francese che vuole esercitare in Italia, prima di iscriversi all'Albo
professionale deve sostenere una prova di lingua italiana. Gli studenti di
"Nostra Signora del Buon Consiglio", invece, avendo frequentato un
corso di laurea in lingua italiana con una università italiana, non hanno
sottoporsi nemmeno a questo tipo di valutazione. Per fare un esempio, i laureati
della sessione di aprile 2010 presso la nostra sede dopo meno di due settimane
avevano già il loro nomi trasmessi a tutte le sedi degli Ordini e dei Collegi
professionali italiani. Pertanto, se essi un giorno volessero presentarsi hanno
diritto di iscriversi come i cittadini italiani".
E' indubbio che il nostro Paese stia affrontando un momento
particolarmente difficile per la grave crisi economica che ha indotto il
“Governo” all’adozione di una serie di misure di contenimento della spesa
pubblica, ivi compreso la riqualificazione dell’assetto funzionale della
pubblica amministrazione e la riduzione delle dotazioni organiche. Ciò ha
comportato tagli pesantissimi al patrimonio delle risorse umane del SSN.
Il numero di Infermieri in cerca di occupazione che ha conseguito
la laurea in Infermieristica sulla base dei fabbisogni formativi definiti di
concerto tra i Ministeri competenti e le Università Italiane, con le regole di
accesso ai corsi di laurea a numero chiuso, secondo le stime più recenti è tra
i 30.000 e i 50.000. Il dato è in costante aumento se si considerano i
licenziamenti in corso per le crisi economiche subite da molti Enti sanitari
privati e di altra classificazione per le riduzioni rilevanti dei finanziamenti
a diverso titolo.
E' indubbio che le risorse vengano "tagliate" non
in funzione di una diminuita domanda di salute da parte della popolazione ma
solo in funzione della compatibilità economica del sistema (esattamente
l'inverso di quello che dovrebbe essere). L'analisi può essere ulteriormente
sviluppata e pur non essendo questa la sede per gli specifici approfondimenti,
qualche dato va comunque preso in considerazione:
? I dati epidemiologici evidenziano un aumento delle
situazioni cliniche multi-fattoriariali e delle patologie cronico-degenerative,
con conseguente aumento di domanda;
? La situazione demografica evidenzia un aumento della vita
media, con un incremento delle fragilità e delle disabilità;
? Le condizioni socio-economiche portano un aumento della
popolazione in condizione di povertà, con ripercussioni anche sullo stato di
salute;
? Nell’ambito dei paesi OCSE il rapporto infermieri ‰
abitanti per l’Italia è tra i più bassi in assoluto;
? Il sistema delle cure primarie è tutto da costruire;
Sulla base dei dati riportati è evidente che gli infermieri
non sono assunti non tanto perché non servono, bensì perché non ci sono le
condizioni economiche necessarie. Alcune riflessioni:
1. Le razionalizzazioni (forse è più giusto dire i
razionamenti) si realizzano quasi esclusivamente in funzione della
compatibilità economica, nella maggior parte dei casi senza un progetto
"all’origine" di ripensamento del sistema sanitario, sulla base dei
cambiamenti che hanno riguardato l'evoluzione scientifica, lo sviluppo
tecnologico e la domanda dell'utenza;
2. Probabilmente non c'è piena consapevolezza sul fatto che
la diminuzione dei costi per il personale ha come conseguenza una diminuzione
di servizi e di prestazioni all'utenza, con possibili ripercussioni negative
nello stato di salute delle persone, con successivo aumento di costi per le
cure e l'assistenza (e non è detto che questi costi siano minori rispetto a
quelli del personale, anzi, probabilmente sono più alti,... ma di questo
nessuno parla!);
3. Qualcuno (la politica) dovrebbe assumersi l'onere della
comunicazione e della spiegazione a chi è - contemporaneamente - utente,
committente e finanziatore del sistema (la gente) sulla realtà della situazione
e alla motivazione delle scelte;
Detto ciò, ritornando all'oggetto della presente nota
(Infermieristica - formazione in Albania e occupazione in Italia), stante le
situazioni presentate, è opportuno rivedere gli accordi in essere, tenuto conto
delle situazioni che sono nel frattempo cambiate, in particolare:
- Per ogni cosa c'è il suo tempo - non si vogliono
demonizzare le scelte di ieri, probabilmente funzionali a superare una
criticità (carenza di infermieri) presente in quel momento nel nostro Paese;
- Privilegi e penalizzazioni - non si vuole penalizzare
qualcuno a favore di altri, ma semplicemente si ritiene opportuno prevedere una
parità di condizioni, nel rispetto dei principi normativi di riferimento;
- Ruoli - responsabilità - conflitto d’interessi - va
superato le situazioni dove è palese il conflitto di interessi di figure di
grande rilevanza professionale, con ruoli e responsabilità nel sistema
formativo italiano, nel sistema formativo albanese e nei livelli apicali
ordinistici. ./..
In sostanza si chiede un’approfondita riflessione, per
quanto di propria competenza, per rilevare l’opportunità, considerando le
variazioni di contesto intervenute, di sostenere rapporti di cooperazione
didattiche con Università estere, che, di fatto, creano molti “imbarazzanti”
dubbi in tutti i soggetti coinvolti. A titolo esemplificativo sono portati alla
Vostra attenzione, per opportuna conoscenza e per gli eventuali provvedimenti,
alcuni quesiti che un numero rilevante di Infermieri ha portato all'attenzione
dell'Ente scrivente:
1. Qual è il significato della comunicazione istituzionale
contenuta nel titolo di presentazione del CdL in infermieristica: “Per gli
studenti dell’UNINSBC possibilità di lavoro immediato in Italia"?
2. Si ha la consapevolezza delle difficoltà in cui si stanno
trovando gli Infermieri neo-laureati italiani?
3. E’ “buona cosa” la possibilità di differenziazioni di
percorsi, con importanti privilegi per gli Infermieri Albanesi (o forse è
meglio dire per gli Infermieri che conseguono l'abilitazione in territorio
albanese, rilasciata da università italiana, con il placet del ministero)?
4. Si ha la consapevolezza delle pesantissime
razionalizzazioni (forse è meglio dire razionamenti) che stanno interessato la
popolazione infermieristica ? (e in primis i cittadini.)
5. Si è certi che la sede e l’organizzazione didattica del
corso di laurea in Infermieristica rispondano pienamente ai requisiti
tecnico-organizzativi e funzionali definiti dal Miur?
6. Si è certi che l’ordinamento didattico in uso presso
l’Università di “Nostra Signora del buon Consiglio di Tirana”, risponda
adeguatamente alle “regole” definite dal Miur?
7. C'è stato un approfondimento sulle problematiche
conseguenti ai processi di razionalizzazione?
8. L’Università di “Nostra Signora del buon Consiglio di
Tirana”, è formalmente assoggettata al controllo degli organi istituzionali
previsti dall’ordinamento universitario Italiano e non solo, sulla qualità
dell’offerta formativa?
9. Si ha conoscenza che ha raggiunto la ragguardevole cifra
di oltre 2000 il numero di Infermieri laureati Italiani che per ragioni
occupazionali ha abbandonato il nostro paese emigrando nel nord dell’Europa?
Dall'esterno si può solo affermare con assoluta certezza che
non risultano evidenze in tal senso! L’occasione è gradita per salutare
distintamente.
Il Presidente Collegio IPASVI di Bari
Saverio Andreula
sabato
Il programma delle otto R
Fonte: http://www.decrescita.it/joomla/index.php/component/content/article/2-il-programma-delle-otto-r
La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.
da una proposta di Osvaldo Pieroni al Forum delle ONG di Rio
Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.
Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.
Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.
Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).
Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.
Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.
Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.
Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.
venerdì
Crisi: dramma di disperazione 3 disoccupati suicidi a Civitanova
(AGI) - Pesaro, 5 apr. - Dramma della disoccupazione a
Civitanova Marche: tre persone - una coppia di coniugi e il fratello della
donna - si sono tolte la vita nel giro di poche ore. Marito e moglie si sono
suicidati impiccandosi nel garage di casa. L'uomo, un esodato di 62 anni e la
moglie, una pensionata di 68, erano entrambi senza piu' un lavoro. Sulla morte
della coppia stanno indagando i carabinieri, che al momento tengono uno
strettissimo riserbo. Sono stati i vicini a dare l'allarme: sul posto, in via
Calatafimi, sono al lavoro gli inquirenti. Poco piu' tardi anche il fratello
della donna si e' tolto la vita. Il suo corpo e' stato ripescato nelle acque
antistanti il molo sud del porto di Civitanova: anche lui e' un pensionato, 73
anni, con un passato da opraio nel settore calzaturiero. Viveva nell'abitazione
adicente a quella della coppia. Secondo quantro si e' appreso, quando l'uomo e'
arrivato sul luogo del duplice suicidio, non avrebbe retto al dolore. Alla base
del suicidio della coppia ci sarebbero le difficolta' economiche a cui Romeo e
Anna dovevano far fronte.
Secondo quanto
appreso, entrambi tiravano avanti con la piccola pensione della donna,
artigiana in pensione, perche' il marito non aveva alcun lavoro dopo l'ultima
esperienza come operaio a partita iva per un'impresa edile. Troppo poco per le
spese quotidiane e l'affitto di casa. I due non avevano figli. Sempre secondo
quanto si apprende, la coppia avrebbe lasciato sull'auto di una vicina di casa
un foglio con su scritto "Scusaci per quello che abbiamo fatto".
Secondo gli
inquirenti, nesun dubbio che si tratti di un suicidio. Questa mattina, intorno
alle 8, alcuni vicini, vedendo la porta del garage aperta, hanno scoperto cosa
era successo e chiamato i carabinieri e il soccorso del 118, ma i due erano
gia' morti. (AGI) .
Amici oggi volevo ricordarvi che la casta dopo il MES, il FMI ed il pareggio di bilancio, è stato approvato,il regolamento per il rafforzamento della governance dell’UE che introduce un nuovo fondo, l’ERF – il Fondo Europeo di Redenzione (o Riscatto). L’Italia dovrebbe partecipare al fondo con la quota più grande (40%). Per coprire il fondo dell’ERF, l’Italia potrebbe essere costretta a cedere il gettito delle imposte nazionali, a vendere patrimonio pubblico, a dare in pegno le proprie riserve auree e di valuta estera. Così di male in peggio. A breve ci troveremo di fronte ad uno stato che potrà imporre qualsiasi provvedimento per realizzare il pareggio di bilancio; il cui raggiungimento sembra essere un utopia se pensiamo a come è creata la moneta (dal debito).
ERF: il Fondo Europeo di Redenzione
BY ALTRIMONDI –
Dopo il MES il Meccanismo Europeo di Stabilità, il FMI ed il
il pareggio di bilancio, l 13 giugno scorso il Parlamento europeo ha approvato,
con il voto su due risoluzioni, il regolamento per il rafforzamento della
governance dell’UE.
La prima risoluzione (clicca qui), denominata Gauzes, dal
nome del relatore, è stata approvata con il 73% dei voti a favore (qui è
possibile vedere il dettaglio) e ha messo nero su bianco l’assoggettamento a
tutela giuridica di uno Stato membro (a decorrere dal 2017). Ciò significa che
‘le autorità dello Stato membro interessato attuano le misure raccomandate
(dalle istituzioni europee, NdA) relative all’assistenza tecnica (…) e
presentano alla Commissione un piano di ripresa e di liquidazione dei debiti
per approvazione.” Cioè il Governo
nazionale perde ogni tipo di potere decisionale e operativo; in altre parole lo
Stato è privato totalmente della propria sovranità. Potremmo dire che è
commissariato, occupato dall’esercito della grande finanza internazionale.
La seconda risoluzione denominata Ferreira (clicca qui), è
stata approvata con il 74% dei voti favorevoli (vedi qui),e introduce un nuovo
fondo, l’ERF – il Fondo Europeo di Redenzione (o Riscatto). L’articolo 6
quinquies definisce il provvedimento, inquietante: ‘al fine di ridurre il
debito eccessivo nell’arco di un periodo di 25 anni’. Gli Stati membri
dovrebbero trasferire ‘gli importi debitori superiori al 60% del PIL all’ERF
nell’arco di un periodo di avviamento di 5 anni’, attuare ‘una strategia di
consolidamento di bilancio e un’agenda di riforme strutturali’, costituire
‘garanzie per coprire adeguatamente i prestiti concessi dall’ERF’, ridurre ‘i
rispettivi disavanzi strutturali durante il periodo di avviamento per
rispettare le norme di bilancio’.
Secondo gli analisti tedeschi, l’Italia dovrebbe partecipare
al fondo con la quota più grande (40%), ovvero oltre 950 miliardi di euro e p
Per coprire il prestito dell’ERF, l’Italia potrebbe essere costretta a cedere
(almeno per 25 anni) una frazione più o meno cospicua del gettito delle imposte
nazionali, a vendere una parte del patrimonio (asset) pubblico, a dare in pegno
le proprie riserve auree e di valuta estera.
Ci troviamo quindi all’interno di un circolo vizioso: per il
ripianamento del debito pubblico l’Italia si troverebbe costretta a fare
ricorso ad altro debito e come garanzia ci penseranno le nostre tasse, il patrimonio del nostro paese, e perciò il
benessere ed i servizi dei cittadini. Ci troveremo di fronte ad uno stato che
potrà imporre qualsiasi provvedimento per realizzare il pareggio di bilancio;
il cui raggiungimento sembra essere un utopia se pensiamo a come è creata la
moneta (dal debito).
mercoledì
Banking Reform - Cominciamo alla radice
Fonte tradotta: http://www.positivemoney.org/2013/03/banking-reform-lets-start-by-reforming-the-monetary-system/
Mon, 11 Mar 2013 da Money positivo2 Commenti
Un articolo della
BBC in data 11 marzo 2013 prevede che
'le riforme proposte dal governo del settore bancario ancora non vanno
abbastanza lontano, secondo una commissione bancaria istituita sulla scia dello
scandalo Libor.'
L'articolo passa poi a riferire:
'Autorità di regolamentazione devono essere in grado di
imporre una divisione completa di servizi bancari al dettaglio e gli
investimenti in tutto il settore, ha detto.
Il governo aveva respinto questa particolare opzione, ma ha
adottato altre proposte dalla commissione.
La Commissione parlamentare per gli standard bancari, diretto
da Andrew Tyrie, aveva raccomandato il potere di "elettrificare
l'anello-fence" se le banche non attuare le riforme.
Mr Tyrie ha detto: "Il governo ha respinto una serie di
raccomandazioni importanti. Abbiamo concluso che gli argomenti del governo sono
inconsistenti. '
Il denaro positivo ritiene che ci sia un problema
fondamentale con il sistema, che non può essere fissato a lungo, cercando in
sintomi superficiali.
La radice del problema è che le banche private sono
legalmente autorizzati a espandere l'offerta di moneta attraverso l'emissione
di debito.
Il denaro positivo ha trascorso gli ultimi due anni di
ricerca più grandi difetti nel sistema bancario, e lo sviluppo di proposte per
riformare il sistema bancario e monetario. Se attuata, queste proposte non solo
rendere più sicuro il settore bancario, ma anche tradursi in molti altri impatti positivi sull'economia in
generale.
Le riforme di denaro positivo sarebbe:
1. Creare una
fornitura stabile di moneta che
non si basa sul debito, non emessi da banche private e non dipende dal
comportamento di prestito delle banche. Fare queste modifiche avrebbe protetto
l'economia dagli bolle creditizie e scricchiolii di credito che hanno causato
così tanti problemi nel corso degli ultimi anni.
2. Creare un'economia in cui gli imprenditori, innovatori
e l'economia reale può prosperare da - per quanto possibile - assicurare che
degli investimenti alle imprese, scienza e tecnologia, piuttosto che in bolle
dei prezzi delle attività o la speculazione dei mercati finanziari.
3. Ridurre il peso del personale, delle famiglie e il debito
pubblico.
4. Riallineare rischio e rendimento , in modo che coloro che
traggono vantaggio dal rialzo di investimenti a rischio anche stare a prendere
il lato negativo.
5. Fornire una struttura di bancario che consente alle banche di fallire , non importa
la loro dimensione. Con l'attuale struttura del sistema bancario nessuna banca
di grandi dimensioni può essere consentito di fallire, per farlo sarebbe anche
portare l'intero sistema dei pagamenti, lasciando milioni di persone che non
hanno accesso al denaro. Naturalmente, i cambiamenti delineati effettivamente
ridurre il rischio di fallimento della banca, che fornisce una protezione
aggiuntiva dei risparmiatori.
I principi del sistema monetario positivo sono i seguenti:
1. BANCHE PRIVATE NON SARÀ IN GRADO DI CREARE SOLDI
Attualmente il denaro che usiamo per la maggior parte delle
operazioni è costituito da depositi bancari creati dalle banche quando
concedono prestiti. Questi depositi - i numeri che appaiono nel tuo conto in
banca - sono le voci contabili e una responsabilità contabile (come una
cambiale) dalla banca al cliente. Poiché le banche possono creare questi
depositi attraverso il processo contabile che usano quando fanno prestiti, ciò
significa che la maggior parte del denaro nella nostra economia (oltre il 97%)
è costituita da questa banca-denaro emesso. La riforma dovrebbe convertire
questi depositi nei bilanci delle banche in un conto presso la Banca
d'Inghilterra, nel processo trasformandoli da una passività delle banche ai
loro clienti ad un equivalente digitale di denaro contante. Invece di conto
corrente di un cliente che rappresenta una cambiale o di promessa di pagamento
da parte della banca, rappresenterebbe moneta elettronica detenuta presso la
Banca d'Inghilterra. Come risultato di non essere in grado di creare depositi a
vista che possono essere utilizzati come denaro, banche perderebbe la capacità
di creare denaro.
2. CREAZIONE SOLDI DA DARE UN CORPO responsabile e
trasparente
La Banca d'Inghilterra sarebbe poi assumere il ruolo di
creare il nuovo denaro che l'economia richiede ogni anno per eseguire senza
problemi. Il compito di decidere quanto denaro verrà iniettato nell'economia
sarebbe stata presa dal Comitato per la creazione di moneta (MCC), che sostituisce
la Banca d'Inghilterra comitato esistente politica monetaria. Il MCC sarebbe
completamente separata e isolata da ogni tipo di controllo politico o di
influenza - vale a dire il governo eletto non sarebbe in grado di specificare
la quantità di denaro che dovrebbe essere creato, al fine di evitare conflitti
di interesse e abuso del potere di creare denaro per fini politici.
3. Il denaro è solo da creare quando l'inflazione è bassa e
stabile
Il MCC creerebbe denaro in linea con gli obiettivi di
inflazione fissati dal governo. Un aumento dell'inflazione al di sopra di
questo obiettivo avrebbe visto la MCC minore è la quantità di denaro che ha
creato, e forse smettere di creare i soldi tutti insieme.
4. Appena creato SOLDI PER ENTRARE NEL ECONOMIA PRIVI DI
QUALSIASI DEBITO CORRISPONDENTE
Al momento della decisione di aumentare l'offerta di moneta,
la MCC avrebbe autorizzato la Banca d'Inghilterra per creare la nuova moneta,
aumentando l'equilibrio del governo 'Account governo centrale'. Questo denaro
appena creato sarebbe a fondo perduto e, pertanto, senza debiti. Il denaro
appena creato sarebbe poi si aggiunge alle entrate fiscali e distribuiti
secondo manifesto il governo eletto e le priorità.
5. Appena creato SOLDI PER ACCEDERE TRAMITE L'ECONOMIA REALE
INVECE DEI MERCATI FINANZIARI
Denaro di nuova creazione può essere utilizzato per aumentare
la spesa pubblica, per pagare il debito pubblico, ridurre le tasse o pagare
dividendi dei cittadini. La giusta combinazione di queste opzioni dipende
interamente il governo eletto del giorno.
6. BANCHE PER I SINGOLI controllo su come il loro denaro
viene investito
Se un individuo vuole investire il proprio denaro (cioè per
dare a qualcun altro), allora avranno la scelta, in termini molto generali, su
dove il loro denaro viene investito. Ad esempio, i clienti possono essere
offerto un conto di investimento che dirige fondi alle piccole e medie imprese,
o alle energie rinnovabili, o di ipoteche, ecc L'effetto è quello di
democratizzare finanza, in modo che gli investimenti delle banche e le
decisioni di prestito inizia a riflettere la le priorità dei loro clienti e, di
conseguenza la società in generale.
Qui potete leggere la
proposta di riforma del sistema bancario in Plain English: http://www.positivemoney.org/wp-content/uploads/2013/03/Positive-Money-Reforms-in-Plain-English.pdf
Non dimenticate che verrete davanti al Padre Celeste e gli parlerete di voi.
Messaggio dato dalla Madonna il 2 Aprile 2013 a Mirjana:
Cari figli, vi invito ad essere nello spirito una cosa sola
con mio Figlio.
Vi invito affinché, attraverso la preghiera e per mezzo della
Santa Messa, quando mio Figlio si unisce a voi in modo particolare, cerchiate
di essere come Lui.
Affinché siate, come Lui, sempre pronti a compiere la volontà
di Dio, e non a chiedere che si realizzi la vostra.
Perché, figli miei, per volontà di Dio siete ed esistete ma,
senza la volontà di Dio, siete un nulla.
Io, come Madre, vi chiedo di parlare della gloria di Dio con
la vostra vita, perché in questo modo glorificherete anche voi stessi, secondo
la sua volontà.
Mostrate a tutti umiltà ed amore verso il prossimo.
Per mezzo di questa umiltà e di questo amore, mio Figlio vi
ha salvato e vi ha aperto la via verso il Padre Celeste.
Io vi prego di aprire la via verso il Padre Celeste a tutti
coloro che non l'hanno conosciuto e non hanno aperto il proprio cuore al suo
amore.
Con la vostra vita aprite la via a tutti coloro che stanno
ancora vagando in cerca della verità.
Figli miei, siate miei apostoli che non hanno vissuto invano.
Non dimenticate che verrete davanti al Padre Celeste e gli
parlerete di voi.
Siate pronti!
Di nuovo vi ammonisco: pregate per coloro che mio Figlio ha
chiamato, ha benedetto le loro mani e li ha donati a voi.
Pregate, pregate, pregate per i vostri pastori.
Vi ringrazio.
lunedì
Il signoraggio bancario
Cancellare il debito? Si può, secondo due economisti del FMI.
fonte: http://www.lastampa.it/Page/Id/1.0.582846435
MARIA GRAZIA BRUZZONE
Eliminare il debito pubblico degli Usa con un colpo, e fare lo stesso con Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Grecia eccetera. E nello stesso tempo alimentare la crescita, stabilizzare i prezzi e spodestare i banchieri. In modo pulito e indolore, e più rapidamente di quel che si può immaginare. Con una bacchetta magica? No. Con una legge semplice, ma capace di sostituire l’attuale sistema attraverso il quale a creare denaro dal nulla sono le banche private.
Un provvedimento che obblighi le banche a una riserva del 100%.
Non lo propone Beppe Grillo, che pure dal suo blog offre analisi e proposte peraltro mica molto diverse,linkando un sito dove i militanti del M5S trovano bell’e pronto un “Kit” tutto da imparare e divulgare con disegni, tabelle e semplici ma articolate spiegazioni su “Come abbassare il debito” (anche se poi nel Programma del M5S di questi temi non si trova traccia, per ora ).
Con tutto il rispetto per Grillo& soci, parliamo di cose a ben altro livello. Dello studio di due economisti del Fondo Monetario Internazionale, Jaromir Benes and Michael Kumhof intitolato The Chicago Plan Revisited. Una proposta rivoluzionaria e "scandalosa" che sta diventando un cult in giro per il mondo, assicura il Telegraph che lo sintetizza, e suscita un dibattito acceso. Il che è già un sintomo della sua attualità.
Un mondo in debito. Che il sistema economico (capitalistico) sia inceppato lo segnala un dato: il debito globale è arrivato all’esorbitante somma di $200 trilioni (200mila miliardi), mentre il PIL del mondo è inferiore ai $70 trilioni. Vale a dire che il rapporto debito/ PIL globale rappresenta il 300% del PIL. E a detenere questa immensa montagna di debito - che continua a crescere - sono più le economie avanzate che i paesi in via di sviluppo.
Il cuore e la croce del problema è quindi in Giappone, Usa e in buona parte dell’Europa (compresa l'Italia dove gli enormi interessi sul debito continuano...ad accrescere il debito, in un circolo vizioso).
Di qui il dibattito. “Catalizzato a sorpresa dal FMI, che ha rispolverato una vecchia idea: semplicemente cancellare il debito, farlo sparire”, osserva Zerohedge, con vari link.
Allarme & Contrordine del FMI. A scatenare il recente dibattito è stato in realtà l’ultimo Rapporto del Fondo Monetario Internazionale, di ottobre, che – come racconta Linkiesta - punta il dito sulle politiche di austerità volte a portare sotto controllo i debiti pubblici. Queste politiche potrebbero portare in recessione le economie, con dei costi politici oltre che economici non indifferenti.
Le politiche di austerità hanno, infatti, prodotto un effetto indesiderato e imprevisto, ossia una flessione delle economie maggiore delle aspettative.
Le conseguenze di tagli e aumenti delle tasse deprimono l’economia più di quanto si era calcolato, anche perché la politica monetaria è già espansiva, sostiene l’FMI nel suo rapporto.
(Sì, avevano sbagliato i calcoli, il post tenta anche di spiegare come e perché. Come dire che tartassare i cittadini porta benefici relativi all’economia in quanto non innesca ma anzi deprime l’auspicata “Crescita”. Una bella correzione di rotta, rispetto alle ricette seguite fin qui). (1).
Non solo. “Il Fondo Monetario e altri di quel giro sarebbero realmente preoccupati dalla prospettiva di un’altra crisi, anche peggiore di quella del 2008. Sembra che il FMI pensi che l’austerità possa essere usata per giustificare la privatizzazione di servizi pubblici e che tagliare il conto dei benefici sia stato eccessivamente enfatizzato, con conseguenze potenzialmente disastrose”. Così Business Insider, ( qui e qui) che riferisce la domanda che aleggia per Wall Street: il debito non lo si potrebbe cancellare?
Che fare? Ecco quindi la ricerca di nuove idee per frenare questa crescita immane del debito pubblico, particolarmente grave in paesi come Usa e Gran Bretagna che hanno anche messo centinaia e centinaia di miliardi nel tentativo, mica tanto riuscito, di fornire credito per rianimare l’economia ( i cosiddetti QE).
Non a caso se ne parla ad alto livello proprio a Londra, dove in discussione sono tuttavia varianti meno estreme di quella sostenuta dai due economisti di cui sopra.
Ad essere dibattuta lì – come racconta l’Linkiesta - è la possibilità/ convenienza di cancellare il debito pubblico in mano alla banca centrale inglese, la Bank of England, che è pari al 25% del debito emesso. Cancellandolo, si pagherebbero molto meno interessi, si libererebbe liquidità e si potrebbe rendere meno dura l’austerità. Il dibattito ferve sull’autorevolissimo Financial Times ( qui), su Alphaville, noto blog dello stesso FT, e ancora qui. Con una prevalenza di contrari, par di capire.
Il piano rivoluzionario. Ma torniamo alla ben più radicale proposta dei due economisti del FMI. Il lavoro è intitolato " The Chicago Plan Revisited" in quanto rilancia e approfondisce il Chicago Planoriginario di altri due economisti, Henry Simons della Chicago University – culla del liberismo - e Irving Fisher, nel bel mezzo della Grande Depressione degli anni Trenta. Lo riassume bene il Telegraph citato, dove Ambrose Evans-Pritchard segnala anche favorevoli e contrari.
Cancellare il 100% del debito. “Il trucco è rimpiazzare il nostro sistema dove il denaro è creato da banche private – per il 95-97% della disponibilità di denaro - con denaro creato dallo Stato. Vorrebbe dire tornare alla norma storica, prima che il re inglese Carlo II mettesse in mani private il controllo del denaro disponibile”. Nel 1666.
“Significa un assalto alla ‘ riserva frazionale’ delle banche (termine che ricorre da tempo su blog considerati cospirazionisti che parlano di ‘ signoraggio’). Se i prestatori vengono forzati ad avere il 100% di riserve proprie dietro i depositi e i prestiti, perdono l’esorbitante privilegio di creare denaro dal nulla.
La nazione riguadagna il controllo sulla disponibilità di denaro in giro. Non ci sono più corse agli sportelli e si riducono i perniciosi cicli di espansione/contrazione del credito”.
Un po’ di Storia. “Gli autori del primo Piano di Chicago avevano pensato che i cicli di espansione/contrazione del credito portano a una insana concentrazione di ricchezza. Avevano visto nei primi anni Trenta i creditori pignorare gli agricoltori ridotti sul lastrico, accaparrarsi le loro terre o comprarsele per un pezzo di pane.
Oggi, gli autori della nuova edizione di quel piano sostengono che il trauma del ciclo di credito che si espande/contrae – causato dalla creazione privata del denaro – è un fatto storico che si ritrova già coi giubilei del debito nell’antica Mesopotamia, e nell’antica Grecia, e a Roma, a un certo punto(2).
Il controllo sovrano (dello Stato) o del Papa sulla moneta corrente rimase tale (in Gran Bretagna) per tutto il Medio Evo, fino al 1666, quando è cominciata l’era dei cicli di espansione/contrazione. Certo, si aprì la strada alla rivoluzione agricola e subito dopo alla rivoluzione industriale al più grande balzo economico e industriale mai visto. Ma non cavilliamo” ironizza il Telegraph, che non prende partito (3).
I miti. E’ un mito – divulgato innocentemente da Adamo Smith – che il denaro si sia sviluppato come mezzo di scambio basato sull’oro, o legato ad esso, dicono gli economisti del FMI.
Come è un mito, puntualizza lo studio degli economisti del FMI, quel che si impara sui libri, che sia la Fed, la banca centrale americana, a controllare la creazione di denaro.
In realtà il denaro è creato al 95-97% dalle banche private. Attraverso i prestiti.
Le banche private infatti non fanno prestiti in quanto hanno depositi in denaro. Il processo è esattamente il contrario, spiega un post di istockanalyst, che ci pare molto ben fatto.
Ogni volta che una banca fa un prestito, scrive nel computer il credito (più gli interessi) e nel suo bilancio la passività corrispondente. Ma di quel denaro che presta la banca ne ha una minima parte. Se lo fa prestare da un’altra banca, o dalla banca centrale. E la banca centrale a sua volta crea dal nulla il denaro che presta alla banca.
Nel sistema attuale infatti la banca non è obbligata ad avere riserve proprie altro che per una frazione minima di quello che presta.
In un sistema a “riserva frazionale” ad ogni denaro creato dal nulla corrisponde un debito equivalente. Il che produce un aumento esponenziale del debito, fino al punto che il sistema collassa su sé stesso.
Gli economisti del FMI, rovesciano la situazione. La chiave è la separazione netta fra quantità di denaro e quantità di credito, fra creazione di moneta e crediti.
I prestiti sarebbero interamente finanziati da riserve, ovvero guadagni accantonati. Vale a dire che i prestatori (le banche) non potrebbero più creare nuovi depositi dal nulla ovvero generare i loro finanziamenti attraverso i prestiti, un privilegio straordinario ed esclusivo, negato ad altri business.
Le banche diventerebbero quel che erroneamente si crede che siano, puri intermediari che devono procurarsi all’esterno i loro fondi per essere in grado di fare prestiti.
La Fed – la banca centrale Usa - si approprierebbe per la prima volta del controllo sulla disponibilità di denaro, rendendo più facile gestire l’inflazione.
Di fatto, viene osservato, la banca centrale verrebbe nazionalizzata diventando una branca del Tesoro (ora la Fed fa capo a banche private). E il debito nazionale si trasformerebbe in un surplus. Le banche private dovrebbero infatti prendere a prestito riserve per compensare le eventuali passività.
Lo Stato non sarebbe più debitore, ma diventerebbe un creditore, in grado di acquistare il debito privato, assicurano gli economisti, che hanno fatto calcoli complicatissimi con metodi iper moderni, viene detto. Anche il debito privato verrebbe così cancellato.
Non c’è da stupirsi se già l’originario Chicago Plan, per quanto deliberato da commissioni del Congresso americano, non divenne mai legge, a dispetto del fatto che a caldeggiarlo furono ben 235 economisti accademici, allora e anche nel dopo guerra, compresi il liberista Friedman (nel 1967) e Tobin (il padre della Tobin tax, nel 1985), mentre allora Keynes, il padre di politiche economiche che passano per “stataliste”, lo osteggiò.
"In pratica il piano morì per la fortissima resistenza del settore bancario".
Le stesse banche che oggi recalcitrano davanti agli obblighi di riserva un po’ più alti (ma sempre dell’ordine del 4-6%) imposti dalle regole di Basilea III, comunque insufficienti a fare da deterrente in caso di nuova crisi. Le stesse che spendono miliardi in lobbying e in contributi elettorali ai candidati presidenti. E che davanti al nuovo Chicago Plan minacciano sfracelli e sostengono che “vorrebbe dire cambiare la natura del capitalismo occidentale”.
Il che forse è vero. Magari però sarebbe un capitalismo migliore. E meno rischioso.
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NOTE (e scusate la lunghezza del post)
(1) Ricette allineate a un noto studio della BRI- la Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca delle banche - che nel 2010, per arginare i debiti pubblici crescenti nei paesi ricchi, dove la popolazione invecchia di più, suggeriva di tagliare la spesa sociale, pensioni, lavoro, sanità e altri benefici del welfare. Peraltro, in quel rapporto il debito pubblico italiano, per quanto alto, risultava tra quelli meno in aumento.
(2) I due economisti ricordano il piano di Solone, nell’Atene del 599 A.C, che cancellò i debiti contratti verso gli oligarchi creditori, restituì le terre, fissò i prezzi delle materie prime, e ristabilì la creazione pubblica di moneta esente da debito. E la Lex Aeternia dell’antica Roma nel 454 A.C, mantenuta finché il Senato perse il controllo del denaro.
(3) In realtà già a fine ‘800 ci fu un ciclo negativo, poi la Prima Guerra Mondiale, la Grande Depressione – a cui tentarono di reagire gli economisti del Chicago Plan - finita di fatto con la Seconda Guerra Mondiale e l’espansione seguente, quindi ancora varie crisi, sempre più ravvicinate, fino a quella odierna, più grave perché globale e favorita da regole alla finanza sempre più lasche.
giovedì
I fondi comuni, sicuri nella crisi
Cosa accadrebbe se fallisse la banca depositaria? E se
saltasse l’Unione europea? La situazione è difficile e suscita preoccupazioni.
Ma lo strumento è solido
Il perdurare della crisi finanziaria e il ritardo con cui i
vari paesi coinvolti stanno rispondendo è la causa principale del nervosismo
dei mercati e della crescente incertezza degli investitori. Le informazioni che
vengono divulgate sono tante, spesso contrastanti e non sempre contribuiscono a
dare delle risposte agli innumerevoli quesiti dei risparmiatori.
Per questo vale la pena di richiamare alcuni concetti di
base sui fondi comuni di investimento che possono contribuire a fare chiarezza
e a rispondere ad alcuni dei tanti “Cosa accadrebbe se… ?” che gli investitori
si stanno ponendo sul futuro dei propri risparmi.
I fondi comuni d’investimento sono nati storicamente per
consentire ai risparmiatori di accedere ai mercati finanziari pur non
disponendo di particolari conoscenze e investendo somme di denaro anche
piccole. Questo principio guida ha fatto sì che le caratteristiche dei fondi
fossero tali da tutelare il più possibile i risparmiatori, differenziandoli
dagli altri prodotti finanziari.
Di seguito riprendiamo un documento, pubblicato da
Assogestioni, propedeutico per rispondere a molte delle domande che i
risparmiatori si pongono in questo momento.
Cinque buone ragioni
per avere i fondi d’investimento nel portafoglio anche in periodi di crisi
Qui di seguito vengono analizzate “cinque buone ragioni” che
differenziano i fondi da altri prodotti finanziari e che spiegano perché sia
importante tenere in portafoglio questi strumenti anche durante le crisi:
autonomia, controllo, diversificazione, trasparenza e solidità.
Autonomia. Il patrimonio del fondo è separato da quello
della società che lo gestisce e da chi lo distribuisce. La norma prevede che le
somme investite dai risparmiatori siano custodite nella banca depositaria, una
banca indipendente dalla società di gestione, dal gruppo che la controlla e dal
distributore.
Controllo. Il mercato dei fondi comuni d’investimento è
governato da norme molto severe. Banca d’Italia e Consob vigilano sul rispetto
delle regole a tutela dei risparmiatori.
Diversificazione. I fondi investono in diversi titoli e in
vari mercati per cogliere le migliori opportunità e ridurre il rischio. In
questo modo l’andamento di un singolo titolo non può influenzare
significativamente il risultato dell’intero paniere di titoli. Un concetto
assimilabile all’antico adagio popolare che recita "non mettere tutte le
uova nello stesso paniere".
Trasparenza. Il risparmiatore sa sempre quanto valgono i
suoi fondi e come sono gestiti. Il valore giornaliero è pubblicato sui
principali mezzi di informazione e consente al sottoscrittore di monitorare
l’andamento dei propri investimenti. Ciascuno può scegliere il prodotto più
adatto alle proprie esigenze nell’ambito di una gamma molto vasta, organizzata
in oltre 40 diverse categorie.
Solidità. Osservando gli andamenti storici dei mercati, si
può notare come i fondi, grazie alle loro caratteristiche, hanno sempre aiutato
i risparmiatori a superare i momenti difficili dei mercati finanziari.
Autonomia, controllo, diversificazione e trasparenza sono alcuni dei loro punti
di forza, che insieme li caratterizzano e li differenziano dagli altri prodotti
finanziari e che hanno raccolto negli anni la fiducia di milioni di
risparmiatori.
Fonte: Assogestioni
Partendo da questo patrimonio di conoscenze base, proviamo
adesso a rispondere ad alcune domande.
Cosa accadrebbe se… fallisse una delle società in cui il
fondo ha investito?
La caratteristica della diversificazione fa sì che il
fallimento di una delle aziende in cui il fondo (o la Sicav – società di
investimento a capitale variabile) ha investito avrebbe un effetto sul valore
del fondo stesso prossimo allo zero. Il numero di titoli presenti nel
portafoglio, tranne rare eccezioni, varia da 50, per i portafogli
“concentrati”, a oltre 200 per quelli più diversificati.
Questo ha fatto sì che eventi finanziari quali Parmalat,
Cirio, bond argentini, solo per citare i più noti, abbiano avuto un impatto
diretto ridotto o quasi nullo sui fondi.
Cosa accadrebbe se… fallisse la banca presso cui si è sottoscritto
il fondo?
Il patrimonio del fondo e di conseguenza le quote
dell’investitore (o azioni nel caso di una Sicav) non subirebbero un danno di
tipo patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del
collocatore. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli emessi dal
collocatore, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla
svalutazione della partecipazione.
Operativamente, l’investitore potrà optare tra due
soluzioni: trasferire la propria posizione presso un altro soggetto collocatore
oppure richiedere al Sip, il soggetto incaricato dei pagamenti (precedentemente
conosciuto come “banca corrispondente”), il rimborso delle proprie
azioni/quote.
Dal momento che le azioni/quote sono registrate nel registro
della Sicav/fondo a nome del Sip/collocatore, potrebbe essere necessaria la
certificazione (per esempio da parte di un pubblico ufficiale) dell’autenticità
della richiesta di cambio collocatore o di rimborso presentata
dall’investitore.
In effetti casi di fallimento di soggetti collocatori si
sono già verificati in Italia, senza alcun danno per gli investitori in fondi.
Cosa accadrebbe se… fallisse il soggetto incaricato dei
pagamenti?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di
conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo
patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del soggetto
incaricato dei pagamenti. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli
emessi dal Sip, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla
svalutazione della partecipazione.
Operativamente, l’investitore potrà anche in questo caso
decidere se trasferire la propria posizione presso un altro Sip oppure
richiedere il rimborso delle proprie azioni/quote.
Ricordiamo che attualmente Invesco opera in Italia tramite
otto diversi Sip.
Cosa accadrebbe se... fallisse la banca depositaria?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di
conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo
patrimoniale. Il patrimonio della Sicav/fondo, di proprietà degli investitori,
è infatti segregato e strettamente separato da quello della banca depositaria,
senza alcuna possibilità per i creditori di quest'ultima di aggredirlo.
Cosa accadrebbe se… fallisse la Sicav?
Il fallimento della Sicav implica il fallimento di tutte le
società in cui hanno investito i vari fondi Invesco. Solo questo evento,
infatti determinerebbe l’azzeramento del patrimonio della Sicav. È quindi
ragionevole ritenere che un evento di tal tipo sia altamente improbabile, se
non impossibile.
Cosa accadrebbe se… fallisse l’Unione monetaria europea?
Vi sono principalmente due macro scenari ipotetici in caso
di fallimento dell’Unione monetaria europea. Nel primo scenario, una o più
nazioni periferiche che emettevano monete storicamente deboli (come ad esempio,
Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – anche conosciuti come “Piigs”)
potrebbero abbandonare l’euro e ricominciare a coniare le proprie monete
nazionali. Tuttavia, le nazioni europee più forti continuerebbero a utilizzare
la moneta unica, pertanto l’euro continuerebbe a essere scambiato. In questo
scenario, un fondo comune denominato in euro potrebbe continuare a essere
denominato/quotato in euro.
Tuttavia, a parità di altre condizioni, cambierebbe la
moneta in cui sono espressi i titoli (azioni, obbligazioni, ecc..) emessi nei
paesi periferici in cui è investito il portafoglio del fondo. L’esposizione a
questi titoli potrebbe influenzare la fluttuazione del Nav, il valore degli
attivi del fondo.
Gli investitori residenti in uno dei paesi che hanno
abbandonato l’euro e reintrodotto la moneta locale, continuerebbero a essere
investiti in un fondo espresso in euro e sarebbero dunque esposti alle
fluttuazioni dei tassi di cambio. Le performance del comparto denominato in
euro risentirebbero dell’andamento dei tassi di cambio delle divise sottostanti
al comparto.
Nel secondo scenario, tutte le nazioni dell’Eurozona
potrebbero decidere di abbandonare l’euro e tutti gli stati ricomincerebbero ad
utilizzare le proprie valute utilizzate precedentemente all’introduzione della
moneta unica. In questo caso il comparto precedentemente denominato in euro
dovrebbe cambiare la propria valuta di denominazione. Eventualmente, un gruppo
di nazioni fiscalmente ed economicamente “forti” potrebbe decidere di adottare
una sorta di “nuovo euro”.
Nel caso vi fosse un sistema di tassi di cambio fissi,
potrebbe essere utilizzata una moneta sintetica (come avveniva in passato per
l’Ecu). Al contrario, se ogni nazione tornasse a utilizzare la propria moneta,
il fondo d’investimento potrebbe adottare come divisa di denominazione quella
in cui è maggiormente esposto il portafoglio. Alternativamente, un fondo
potrebbe utilizzare la moneta principalmente utilizzata dagli investitori nel
fondo stesso; questa soluzione risulterebbe però di difficile applicazione per
i fondi comuni collocati in più paesi.
Indipendentemente dalla nuova divisa di denominazione
adottata (ad esempio nuovo euro, moneta sintetica o nuova moneta nazionale), il
calcolo della performance del comparto dovrà essere riadattato per tenere in
considerazione anche il periodo in cui il comparto era espresso in euro.
mercoledì
martedì
domenica
Il nuovo governo deve stabilizzare i precari della P.A.
Amici, la disoccupazione segna
un record
tra i laureati under 35, io
sono tra loro, sono tra i 200mila “dottori” senza un lavoro adeguato. I più fortunati
(pochi) si sistemano grazie ad amici e parenti, i restanti devono accontentarsi
del precariato. A questo dato si aggiunge quello diramato da Bankitalia che
ribadisce il fatto che da inizio crisi l’Italia ha perso 600mila posti di
lavoro e il Pil è precipitato giù del 7%. Ma la banca delle banche non ammette
le proprie colpe, il fallimento dell’autoregolamentazione che non è riuscito ad
evitare contagi tra crisi finanziaria ed economia reale, non parla di quel
particolare strumento che permette di vendere a tassi altissimi
(cartolarizzazione) il debito pericoloso di privati d’oltre oceano, dei
molteplici salvataggi di banche che pesano sulle teste di ognuno di noi. Per Bankitalia,
la crisi e l'incertezza politica soffocano l'economia italiana e frenano la
ripresa. A questo scenario Napoletano trova una soluzione: restare uniti e dare
continuità alle riforme. Il capo dello Stato quando parla d’ unità, forse si
rivolge ai grillini, mentre Vendola guarda al M5S con cui ci si può incontrare
su singoli punti programmatici. Bene per quanto mi riguarda il primo punto è la
lotta al precariato. A quarantenni come me, lo stato ha tolto dignità e
gioventù, ai miei genitori ha rubato un sogno, distruggendo una società che è
sempre più chiusa in lobby e in caste sociali. Quindi il primo atto dovuto da
chi ci governerà si chiama stabilità e certezza lavorativa.
sabato
Riciclaggio, lusso e gas: perchè la Russia tiene a Cipro
di Orietta Moscatelli
Nicosia offre una fiscalità vantaggiosa alle imprese di
Mosca. I cittadini russi comprando una casa qui ottengono un visto per l'area
Schengen e saltano la trafila burocratica dell'Ue. I giacimenti del
Mediterraneo e la sospetta offerta di Gazprom.
I russi sono sempre di più di casa a Cipro e, mentre in
questi giorni la casa brucia, l’Europa si interroga sui capitali che dalle rive
della Moscova approdano su quelle del Mediterraneo.
Moody’s ha cercato di fare i conti in tasca ai signori con
passaporto cirillico che comprano case e frequentano gli istituti di credito di
Limassol e Nicosia. Spesso, peraltro, il "signore" proprio non c’è;
ci si ferma al nome di una società di comodo.
Centinaia di imprese offshore cipriote controllano attività
di investimento in Russia e poi riportano il denaro in patria, dove vige un
regime fiscale unico tra i 27 paesi membri dell'Ue: tassa sulle imprese al 10%
e quasi sempre esentasse i dividendi di una società registrata in loco. Il
tutto restando sul territorio dell’Unione europea: alla faccia delle lungaggini
nei negoziati per abolire il regime di visti per l’ingresso che tanto irrita le
autorità e gli uomini d’affari russi.
Questo panorama variopinto varrebbe qualcosa come 19
miliardi di dollari in depositi di persone fisiche o giuridiche, più 12
miliardi che banche russe tengono presso banche cipriote, senza contare i 40
miliardi prestati solo l’anno scorso a società dell'isola. Così, la richiesta
di un prelievo forzoso sino al 10% per i conti sopra i 100 mila euro si
tradurrebbe, per i russi, in una perdita complessiva di circa 3,5 miliardi di
euro, ha calcolato Forbes. L’analista di Moody’s Eugene Tarzimanov rilancia:
una moratoria bancaria cipriota bloccherebbe il ripagamento di debiti esteri
per decine di miliardi, sino a 53 miliardi per compagnie russe.
L’andirivieni di denaro tra Mosca e Nicosia fa sospettare
all’Ue diffuse attività di riciclaggio. Sospetti d’altronde leciti, alimentati
dalle indagini di Moneyval (il comitato di esperti per la valutazione di misure
contro il riciclaggio di capitali) del Consiglio d’Europa; il comitato da una
parte si compiace dei progressi fatti nel nome della trasparenza, dall’altra
segnala che il denaro russo passa spesso attraverso società effimere che, una
volta smantellate, non lasciano traccia.
A fine 2012, un rapporto dei servizi segreti tedeschi
denunciava la “corruzione endemica” foraggiata dal denaro russo depositato a
Cipro, una cifra tra i 15 e i 26 miliardi. Le leggi ci sono, ma non vengono
rispettate, avverte il documento. A quel punto, il ministro delle Finanze
Wolfgang Schauble ha rilanciato pubblicamente: “ci si chiede come mai Cipro sia
il secondo investitore estero in Russia e bisogna dare una risposta a questa
domanda. I dubbi nascono vedendo i livelli di investimenti russi così alti a
Cipro e allo stesso tempo altissimi investimenti ciprioti in Russia”.
L’idea di una super tassa sui conti correnti nasce da questo
ragionamento. Se i ricchi russi portano i soldi sull’isola per i loro traffici
poco chiari, almeno paghino nel momento in cui l’Europa e il Fondo Monetario
Internazionale si apprestano a sborsare 10 miliardi per un salvataggio.
I russi hanno cominciato a frequentare la parte greca (e
quindi ortodossa) del piccolo paese mediterraneo prima che questo entrasse a
far parte del club europeo, nel 2004. Con l’adesione all’Ue, Cipro è diventata
"l’isola di casa", spesso in connessione con altri più esotici
atolli.
Ad esempio Dmitri Rybolovlev, ex principale proprietario del
colosso dei fertilizzanti Uralkali, ha acquisito il 9,7% della Banca di Cipro
attraverso un fondo registrato alle Isole Vergini. L’istituto cipriota a sua
volta opera anche in Russia, con Uniastrum. Poi c’è Suleiman Kerimov, già
azionista di Gazprom, che investe tramite Nafta-Moskva, registrata a Mosca, e
ha il 20% della cipriota Aniket Investments Limited. Nomi celebri a parte, la
lista è lunga e non graditissima dai vertici russi. Almeno ufficialmente. Il
premier Dmitri Medvedev ha commentato duramente il piano di prelievo forzoso
sui conti ciprioti: “assomiglia a una confisca di fondi stranieri”, ha detto,
per poi precisare che quei soldi, magari, dovrebbero essere tenuti in Russia.
Gli interessi russi a Cipro non si esauriscono in attività
bancarie offshore o nell’acquisto di un appartamento di lusso (che garantisce
la residenza e, quindi, un visto per l’area Schengen). Secondo un retroscena
rivelato dal quotidiano Vedomosti, il colosso del gas, Gazprom, avrebbe offerto
aiuti alle banche dell'isola in cambio di licenze estrattive. Nicosia avrebbe
tuttavia rifiutato, preferendo un prestito sotto egida Ue. Dietro la proposta
respinta, le mire russe sull’estrazione di metano nella zona economica
esclusiva, obiettivo più strategico (e difensivo) che puramente economico.
Infatti, per la Russia, che dipende almeno per il 70% del
suo bilancio statale dai proventi di gas e petrolio, i giacimenti individuati
al largo di Cipro e Israele, come pure nel mare greco, sono una minaccia: il primo
mercato di future estrazioni sarebbe ovviamente l’Europa, in diretta
concorrenza con le forniture russe. Così non stupisce che Gazprom voglia
partecipare ai progetti estrattivi ciprioti e stia cercando scorciatoie.
Stupirebbe di più, fanno notare gli analisti, se una volta
ottenute le licenze, la compagnia russa le sfruttasse appieno. Le esportazioni
dai giacimenti in territorio russo garantiscono infatti il 100% dei profitti,
il triplo di quanto può mettere in conto per l’export realizzato fuori dai
propri confini nazionali.
Insomma, davanti all'offerta di un "salvataggio
alternativo" da parte di Gazprom, Cipro continua a pensare che i russi
abbiano solo interesse a entrare nei progetti, ma non a svilupparli completamente.
Lo scorso ottobre sono partite le gare per le licenze
esplorative nella zona economica esclusiva cipriota e le prime assegnazioni per
il blocco 9 sono andate a un consorzio tra la russa Novatek, Total F&P
activities e Gazprombank. L’iter è stato poi interrotto a causa di divergenze
sull'offerta economica.
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