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giovedì

I fondi comuni, sicuri nella crisi



Cosa accadrebbe se fallisse la banca depositaria? E se saltasse l’Unione europea? La situazione è difficile e suscita preoccupazioni. Ma lo strumento è solido
Il perdurare della crisi finanziaria e il ritardo con cui i vari paesi coinvolti stanno rispondendo è la causa principale del nervosismo dei mercati e della crescente incertezza degli investitori. Le informazioni che vengono divulgate sono tante, spesso contrastanti e non sempre contribuiscono a dare delle risposte agli innumerevoli quesiti dei risparmiatori.

Per questo vale la pena di richiamare alcuni concetti di base sui fondi comuni di investimento che possono contribuire a fare chiarezza e a rispondere ad alcuni dei tanti “Cosa accadrebbe se… ?” che gli investitori si stanno ponendo sul futuro dei propri risparmi.

I fondi comuni d’investimento sono nati storicamente per consentire ai risparmiatori di accedere ai mercati finanziari pur non disponendo di particolari conoscenze e investendo somme di denaro anche piccole. Questo principio guida ha fatto sì che le caratteristiche dei fondi fossero tali da tutelare il più possibile i risparmiatori, differenziandoli dagli altri prodotti finanziari.

Di seguito riprendiamo un documento, pubblicato da Assogestioni, propedeutico per rispondere a molte delle domande che i risparmiatori si pongono in questo momento.

 Cinque buone ragioni per avere i fondi d’investimento nel portafoglio anche in periodi di crisi

Qui di seguito vengono analizzate “cinque buone ragioni” che differenziano i fondi da altri prodotti finanziari e che spiegano perché sia importante tenere in portafoglio questi strumenti anche durante le crisi: autonomia, controllo, diversificazione, trasparenza e solidità.

Autonomia. Il patrimonio del fondo è separato da quello della società che lo gestisce e da chi lo distribuisce. La norma prevede che le somme investite dai risparmiatori siano custodite nella banca depositaria, una banca indipendente dalla società di gestione, dal gruppo che la controlla e dal distributore.

Controllo. Il mercato dei fondi comuni d’investimento è governato da norme molto severe. Banca d’Italia e Consob vigilano sul rispetto delle regole a tutela dei risparmiatori.

Diversificazione. I fondi investono in diversi titoli e in vari mercati per cogliere le migliori opportunità e ridurre il rischio. In questo modo l’andamento di un singolo titolo non può influenzare significativamente il risultato dell’intero paniere di titoli. Un concetto assimilabile all’antico adagio popolare che recita "non mettere tutte le uova nello stesso paniere".

Trasparenza. Il risparmiatore sa sempre quanto valgono i suoi fondi e come sono gestiti. Il valore giornaliero è pubblicato sui principali mezzi di informazione e consente al sottoscrittore di monitorare l’andamento dei propri investimenti. Ciascuno può scegliere il prodotto più adatto alle proprie esigenze nell’ambito di una gamma molto vasta, organizzata in oltre 40 diverse categorie.

Solidità. Osservando gli andamenti storici dei mercati, si può notare come i fondi, grazie alle loro caratteristiche, hanno sempre aiutato i risparmiatori a superare i momenti difficili dei mercati finanziari. Autonomia, controllo, diversificazione e trasparenza sono alcuni dei loro punti di forza, che insieme li caratterizzano e li differenziano dagli altri prodotti finanziari e che hanno raccolto negli anni la fiducia di milioni di risparmiatori.

Fonte: Assogestioni
Partendo da questo patrimonio di conoscenze base, proviamo adesso a rispondere ad alcune domande.

Cosa accadrebbe se… fallisse una delle società in cui il fondo ha investito?
La caratteristica della diversificazione fa sì che il fallimento di una delle aziende in cui il fondo (o la Sicav – società di investimento a capitale variabile) ha investito avrebbe un effetto sul valore del fondo stesso prossimo allo zero. Il numero di titoli presenti nel portafoglio, tranne rare eccezioni, varia da 50, per i portafogli “concentrati”, a oltre 200 per quelli più diversificati.

Questo ha fatto sì che eventi finanziari quali Parmalat, Cirio, bond argentini, solo per citare i più noti, abbiano avuto un impatto diretto ridotto o quasi nullo sui fondi.

Cosa accadrebbe se… fallisse la banca presso cui si è sottoscritto il fondo?
Il patrimonio del fondo e di conseguenza le quote dell’investitore (o azioni nel caso di una Sicav) non subirebbero un danno di tipo patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del collocatore. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli emessi dal collocatore, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla svalutazione della partecipazione.

Operativamente, l’investitore potrà optare tra due soluzioni: trasferire la propria posizione presso un altro soggetto collocatore oppure richiedere al Sip, il soggetto incaricato dei pagamenti (precedentemente conosciuto come “banca corrispondente”), il rimborso delle proprie azioni/quote.

Dal momento che le azioni/quote sono registrate nel registro della Sicav/fondo a nome del Sip/collocatore, potrebbe essere necessaria la certificazione (per esempio da parte di un pubblico ufficiale) dell’autenticità della richiesta di cambio collocatore o di rimborso presentata dall’investitore.

In effetti casi di fallimento di soggetti collocatori si sono già verificati in Italia, senza alcun danno per gli investitori in fondi.

Cosa accadrebbe se… fallisse il soggetto incaricato dei pagamenti?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del soggetto incaricato dei pagamenti. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli emessi dal Sip, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla svalutazione della partecipazione.

Operativamente, l’investitore potrà anche in questo caso decidere se trasferire la propria posizione presso un altro Sip oppure richiedere il rimborso delle proprie azioni/quote.

Ricordiamo che attualmente Invesco opera in Italia tramite otto diversi Sip.

Cosa accadrebbe se... fallisse la banca depositaria?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo patrimoniale. Il patrimonio della Sicav/fondo, di proprietà degli investitori, è infatti segregato e strettamente separato da quello della banca depositaria, senza alcuna possibilità per i creditori di quest'ultima di aggredirlo.

Cosa accadrebbe se… fallisse la Sicav?
Il fallimento della Sicav implica il fallimento di tutte le società in cui hanno investito i vari fondi Invesco. Solo questo evento, infatti determinerebbe l’azzeramento del patrimonio della Sicav. È quindi ragionevole ritenere che un evento di tal tipo sia altamente improbabile, se non impossibile.

Cosa accadrebbe se… fallisse l’Unione monetaria europea?
Vi sono principalmente due macro scenari ipotetici in caso di fallimento dell’Unione monetaria europea. Nel primo scenario, una o più nazioni periferiche che emettevano monete storicamente deboli (come ad esempio, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – anche conosciuti come “Piigs”) potrebbero abbandonare l’euro e ricominciare a coniare le proprie monete nazionali. Tuttavia, le nazioni europee più forti continuerebbero a utilizzare la moneta unica, pertanto l’euro continuerebbe a essere scambiato. In questo scenario, un fondo comune denominato in euro potrebbe continuare a essere denominato/quotato in euro.

Tuttavia, a parità di altre condizioni, cambierebbe la moneta in cui sono espressi i titoli (azioni, obbligazioni, ecc..) emessi nei paesi periferici in cui è investito il portafoglio del fondo. L’esposizione a questi titoli potrebbe influenzare la fluttuazione del Nav, il valore degli attivi del fondo.

Gli investitori residenti in uno dei paesi che hanno abbandonato l’euro e reintrodotto la moneta locale, continuerebbero a essere investiti in un fondo espresso in euro e sarebbero dunque esposti alle fluttuazioni dei tassi di cambio. Le performance del comparto denominato in euro risentirebbero dell’andamento dei tassi di cambio delle divise sottostanti al comparto.

Nel secondo scenario, tutte le nazioni dell’Eurozona potrebbero decidere di abbandonare l’euro e tutti gli stati ricomincerebbero ad utilizzare le proprie valute utilizzate precedentemente all’introduzione della moneta unica. In questo caso il comparto precedentemente denominato in euro dovrebbe cambiare la propria valuta di denominazione. Eventualmente, un gruppo di nazioni fiscalmente ed economicamente “forti” potrebbe decidere di adottare una sorta di “nuovo euro”.

Nel caso vi fosse un sistema di tassi di cambio fissi, potrebbe essere utilizzata una moneta sintetica (come avveniva in passato per l’Ecu). Al contrario, se ogni nazione tornasse a utilizzare la propria moneta, il fondo d’investimento potrebbe adottare come divisa di denominazione quella in cui è maggiormente esposto il portafoglio. Alternativamente, un fondo potrebbe utilizzare la moneta principalmente utilizzata dagli investitori nel fondo stesso; questa soluzione risulterebbe però di difficile applicazione per i fondi comuni collocati in più paesi.

Indipendentemente dalla nuova divisa di denominazione adottata (ad esempio nuovo euro, moneta sintetica o nuova moneta nazionale), il calcolo della performance del comparto dovrà essere riadattato per tenere in considerazione anche il periodo in cui il comparto era espresso in euro.

mercoledì

domenica

Il nuovo governo deve stabilizzare i precari della P.A.


Amici, la disoccupazione segna un record
tra i laureati under 35, io sono tra loro, sono tra i 200mila “dottori” senza un lavoro adeguato. I più fortunati (pochi) si sistemano grazie ad amici e parenti, i restanti devono accontentarsi del precariato. A questo dato si aggiunge quello diramato da Bankitalia che ribadisce il fatto che da inizio crisi l’Italia ha perso 600mila posti di lavoro e il Pil è precipitato giù del 7%. Ma la banca delle banche non ammette le proprie colpe, il fallimento dell’autoregolamentazione che non è riuscito ad evitare contagi tra crisi finanziaria ed economia reale, non parla di quel particolare strumento che permette di vendere a tassi altissimi (cartolarizzazione) il debito pericoloso di privati d’oltre oceano, dei molteplici salvataggi di banche che pesano sulle teste di ognuno di noi. Per Bankitalia, la crisi e l'incertezza politica soffocano l'economia italiana e frenano la ripresa. A questo scenario Napoletano trova una soluzione: restare uniti e dare continuità alle riforme. Il capo dello Stato quando parla d’ unità, forse si rivolge ai grillini, mentre Vendola guarda al M5S con cui ci si può incontrare su singoli punti programmatici. Bene per quanto mi riguarda il primo punto è la lotta al precariato. A quarantenni come me, lo stato ha tolto dignità e gioventù, ai miei genitori ha rubato un sogno, distruggendo una società che è sempre più chiusa in lobby e in caste sociali. Quindi il primo atto dovuto da chi ci governerà si chiama stabilità e certezza lavorativa.

sabato

Riciclaggio, lusso e gas: perchè la Russia tiene a Cipro

di Orietta Moscatelli
Nicosia offre una fiscalità vantaggiosa alle imprese di Mosca. I cittadini russi comprando una casa qui ottengono un visto per l'area Schengen e saltano la trafila burocratica dell'Ue. I giacimenti del Mediterraneo e la sospetta offerta di Gazprom.
I russi sono sempre di più di casa a Cipro e, mentre in questi giorni la casa brucia, l’Europa si interroga sui capitali che dalle rive della Moscova approdano su quelle del Mediterraneo.
Moody’s ha cercato di fare i conti in tasca ai signori con passaporto cirillico che comprano case e frequentano gli istituti di credito di Limassol e Nicosia. Spesso, peraltro, il "signore" proprio non c’è; ci si ferma al nome di una società di comodo.
Centinaia di imprese offshore cipriote controllano attività di investimento in Russia e poi riportano il denaro in patria, dove vige un regime fiscale unico tra i 27 paesi membri dell'Ue: tassa sulle imprese al 10% e quasi sempre esentasse i dividendi di una società registrata in loco. Il tutto restando sul territorio dell’Unione europea: alla faccia delle lungaggini nei negoziati per abolire il regime di visti per l’ingresso che tanto irrita le autorità e gli uomini d’affari russi.
Questo panorama variopinto varrebbe qualcosa come 19 miliardi di dollari in depositi di persone fisiche o giuridiche, più 12 miliardi che banche russe tengono presso banche cipriote, senza contare i 40 miliardi prestati solo l’anno scorso a società dell'isola. Così, la richiesta di un prelievo forzoso sino al 10% per i conti sopra i 100 mila euro si tradurrebbe, per i russi, in una perdita complessiva di circa 3,5 miliardi di euro, ha calcolato Forbes. L’analista di Moody’s Eugene Tarzimanov rilancia: una moratoria bancaria cipriota bloccherebbe il ripagamento di debiti esteri per decine di miliardi, sino a 53 miliardi per compagnie russe.
L’andirivieni di denaro tra Mosca e Nicosia fa sospettare all’Ue diffuse attività di riciclaggio. Sospetti d’altronde leciti, alimentati dalle indagini di Moneyval (il comitato di esperti per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali) del Consiglio d’Europa; il comitato da una parte si compiace dei progressi fatti nel nome della trasparenza, dall’altra segnala che il denaro russo passa spesso attraverso società effimere che, una volta smantellate, non lasciano traccia.
A fine 2012, un rapporto dei servizi segreti tedeschi denunciava la “corruzione endemica” foraggiata dal denaro russo depositato a Cipro, una cifra tra i 15 e i 26 miliardi. Le leggi ci sono, ma non vengono rispettate, avverte il documento. A quel punto, il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble ha rilanciato pubblicamente: “ci si chiede come mai Cipro sia il secondo investitore estero in Russia e bisogna dare una risposta a questa domanda. I dubbi nascono vedendo i livelli di investimenti russi così alti a Cipro e allo stesso tempo altissimi investimenti ciprioti in Russia”.
L’idea di una super tassa sui conti correnti nasce da questo ragionamento. Se i ricchi russi portano i soldi sull’isola per i loro traffici poco chiari, almeno paghino nel momento in cui l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale si apprestano a sborsare 10 miliardi per un salvataggio.
I russi hanno cominciato a frequentare la parte greca (e quindi ortodossa) del piccolo paese mediterraneo prima che questo entrasse a far parte del club europeo, nel 2004. Con l’adesione all’Ue, Cipro è diventata "l’isola di casa", spesso in connessione con altri più esotici atolli.
Ad esempio Dmitri Rybolovlev, ex principale proprietario del colosso dei fertilizzanti Uralkali, ha acquisito il 9,7% della Banca di Cipro attraverso un fondo registrato alle Isole Vergini. L’istituto cipriota a sua volta opera anche in Russia, con Uniastrum. Poi c’è Suleiman Kerimov, già azionista di Gazprom, che investe tramite Nafta-Moskva, registrata a Mosca, e ha il 20% della cipriota Aniket Investments Limited. Nomi celebri a parte, la lista è lunga e non graditissima dai vertici russi. Almeno ufficialmente. Il premier Dmitri Medvedev ha commentato duramente il piano di prelievo forzoso sui conti ciprioti: “assomiglia a una confisca di fondi stranieri”, ha detto, per poi precisare che quei soldi, magari, dovrebbero essere tenuti in Russia.
Gli interessi russi a Cipro non si esauriscono in attività bancarie offshore o nell’acquisto di un appartamento di lusso (che garantisce la residenza e, quindi, un visto per l’area Schengen). Secondo un retroscena rivelato dal quotidiano Vedomosti, il colosso del gas, Gazprom, avrebbe offerto aiuti alle banche dell'isola in cambio di licenze estrattive. Nicosia avrebbe tuttavia rifiutato, preferendo un prestito sotto egida Ue. Dietro la proposta respinta, le mire russe sull’estrazione di metano nella zona economica esclusiva, obiettivo più strategico (e difensivo) che puramente economico.
Infatti, per la Russia, che dipende almeno per il 70% del suo bilancio statale dai proventi di gas e petrolio, i giacimenti individuati al largo di Cipro e Israele, come pure nel mare greco, sono una minaccia: il primo mercato di future estrazioni sarebbe ovviamente l’Europa, in diretta concorrenza con le forniture russe. Così non stupisce che Gazprom voglia partecipare ai progetti estrattivi ciprioti e stia cercando scorciatoie.
Stupirebbe di più, fanno notare gli analisti, se una volta ottenute le licenze, la compagnia russa le sfruttasse appieno. Le esportazioni dai giacimenti in territorio russo garantiscono infatti il 100% dei profitti, il triplo di quanto può mettere in conto per l’export realizzato fuori dai propri confini nazionali.
Insomma, davanti all'offerta di un "salvataggio alternativo" da parte di Gazprom, Cipro continua a pensare che i russi abbiano solo interesse a entrare nei progetti, ma non a svilupparli completamente.
Lo scorso ottobre sono partite le gare per le licenze esplorative nella zona economica esclusiva cipriota e le prime assegnazioni per il blocco 9 sono andate a un consorzio tra la russa Novatek, Total F&P activities e Gazprombank. L’iter è stato poi interrotto a causa di divergenze sull'offerta economica.

Banca Intesa paga l’ad 4,5 milioni, all’ex direttore generale 2,8 milioni

Enrico Cucchiani nel 2012 ha incassato 3,037 milioni di euro di compensi per la carica di Ceo e direttore generale dell'istituto, ma ne ha maturati complessivamente 4,47. L'ex dg, indagato dalla procura di Siena nel caso Mps, ha lasciato Cà de Sass con una buonuscita da 2,85 milioni



di Redazione Il Fatto Quotidiano 

Stipendi d’oro per Intesa Sanpaolo. La relazione sulla remunerazione del gruppo bancario evidenzia come la crisi abbia toccato solo marginalmente i vertici dell’azienda. L’amministratore delegato Enrico Cucchiani, infatti, nel 2012 ha incassato 3,037 milioni di euro come compensi per la carica di Ceo e direttore generale. La cifra si compone di 2,3 milioni di compensi fissi, 377 mila euro di benefici non monetari e 360 mila euro di bonus, parte degli 1,8 milioni di euro di parte variabile della retribuzione maturata nel 2012, ma che verrà incassata in gran parte in forma differita, in linea con la policy retributiva di Intesa. Dalla relazione emerge che Cucchiani ha ricevuto solo il 40% dei 900 mila euro di bonus monetario maturato nell’esercizio. La restante parte, pari a 540 mila euro, verrà pagata in parti eguali negli esercizi 2014, 2015, 2016. La componente in contanti rappresenta solo la metà del bonus 2012: altri 900 mila euro – non inclusi nei 3 milioni di retribuzione incassata quest’anno – saranno infatti pagati in azioni. Complessivamente i compensi maturati da Cucchiani ammontano a 4,47 milioni di euro.

Il presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli, e quello del consiglio di gestione Andrea Beltratti, hanno percepito 1,08 milioni di euro a testa, dopo aver tagliato di un terzo, al pari degli altri consiglieri di sorveglianza, il compenso per la carica, come preannunciato nella scorsa assemblea. Il direttore generale e numero uno di Banca Imi, Gaetano Miccichè, ha percepito 1,5 milioni di euro. La cifra include 240 mila euro di bonus, parte degli 1,2 milioni maturati nel corso dell’esercizio (50% in azioni e 50% in contanti) e che verrà pagata a partire dal 2014 per la restante parte. Il secondo direttore generale, Carlo Messina ha ricevuto 1,4 milioni, con 200 mila euro di bonus (su 1 milione maturato). Infine Giuseppe Castagna, nominato dg con responsabilità sulla Banca dei Territori nel dicembre 2012, ha incassato 772 mila euro, la maggior parte dei quali per l’incarico di direttore generale del Banco di Napoli, inclusivo di 136 mila euro di bonus (453 mila euro la parte variabile della retribuzione maturata).

L’ex direttore generale di Intesa Sanpaolo, Marco Morelli, indagato dalla procura di Siena per concorso in ostacolo alla vigilanza nel caso Mps, ha lasciato Cà de Sass nello scorso luglio con una buonuscita da 2,85 milioni di euro che si aggiunge ai 717 mila euro di stipendio percepiti nel 2012 per aver prestato servizio come direttore generale della banca. Morelli, attuale responsabile per l’Italia di Merrill Lynch, era arrivato in Intesa all’inizio del 2010 da Mps, dove era il vice del Dg, Antonio Vigni.

mercoledì

La truffa dell'Euro.


Euro, arriva la conferma dell’UE: ci hanno sempre truffato
Finalmente arriva la risposta all’interrogazione presentata dall’EuroparlamentareMarco Scurria sulla natura giuridica dell’€uro, e finalmente arriva la conferma: ci stanno truffando. Ci hanno sempre truffati. Ma andiamo per ordine.
Marco Scurria aveva chiesto chiarimenti sulla risposta data dalla commissione europea alla prima interrogazione sulla proprietà giuridica dell’euro presentata dall’On. Mario Borghezio, nella quale si affermava che nella fase dell’emissione le banconote appartengono all’Eurosistema, mentre nella fase della circolazione appartengono al titolare del conto sulle quali vengono addebitate. Attenzione perchè le parole negli atti ufficiali e nel linguaggio tecno-eurocratico vanno soppesate per bene. Quindi il commissario Olli Rehn rispondeva a Borghezio che la proprietà delle banconote cartacee (dove troviamo ben impressa in ogni lingua dell’Unione la sigla della Banca Centrale Europea) è dell’EUROSISTEMA. Ma cos’è quest’Eurosistema?
“L’Eurosistema è composto dalla BCE e dalle BCN dei paesi che hanno introdotto la moneta unica. L’Eurosistema e il SEBC coesisteranno fintanto che vi saranno Stati membri dell’UE non appartenenti all’area dell’euro.” Questa è la definizione che si legge sul sito ufficiale della BCE. Quindi le Banche centrali nazionali stampano le banconote e si appropriano del loro valore nominale (ad Es. se stampare un biglietto da 100 ha un costo fisico per chi lo conia di 0,20 centesimi – valore intrinseco – le BCN si appropriano anche del valore riportato sul biglietto stampato). E l’On Scurria chiedeva quali fossero le basi giuridiche su cui poggiava l’affermazione del Commissario Olli Rehn:
Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-000302/2012
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Marco Scurria (PPE)
Oggetto: Natura giuridica della proprietà dell’euro
In risposta ad un’interrogazione scritta sul medesimo tema presentata dall’on. Borghezio fornita il 16 giugno 2011, la Commissione informa il collega che “al momento dell’emissione, le banconote in euro appartengono all’Eurosistema e che, una volta emesse, sia le banconote che le monete in euro appartengono al titolare del conto su cui sono addebitate in conseguenza”.
Può la Commissione chiarire quale sia la base giuridica su cui si basa questa affermazione?
Nei tempi stabiliti dal Parlamento Europeo arriva la risposta:
IT
E-000302/2012
Risposta di Olli Rehn
a nome della Commissione
(12.3.2012)
L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea costituisce la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote e monete in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali). La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l’emissione da parte dell’Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell’addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete.
Olli Rehn non fa altro che ribadire che dopo l’emissione, ossia dopo la creazione fisica delle banconote o più verosimilmente dell’apparizione in video delle cifre sui terminali dell’Eurosistema (totalmente a costo zero, se si esclude l’energia elettrica che mantiene accesi i computers…) la proprietà dei valori nominali appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l’addebito, a chi ha accettato di indebitarsi. Non solo. Olli Rehn, per giustificare l’affermazione secondo la quale rispondeva a Borghezio che l’Euro appartiene nella fase dell’emissione all’Eurosistema, cita l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dove nel comma 1 si legge:
La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.
E’ chiarissimo. Non c’è scritto da nessuna parte che la proprietà giuridica dell’euro emesso appartiene alla BCE o alle BCN. C’è soltanto scritto che la BCE può autorizzare l’emissione di euro a se stessa e alle BCN, dovendo controllare l’inflazione nella zona euro, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Ribadisce che solo l’Eurosistema può stampare le banconote o creare elettronicamente i valori nominali. Ma nessun riferimento giuridico, nessun trattato, nessuna legge, nessuna deliberazione, niente di niente ci dice che l’Eurosistema ha la facoltà di addebitare la moneta. E’ evidente che si appropria di questo grande ed esclusivo privilegio.
Ciò che diceva il prof. Giacinto Auriti trova finalmente conferma in un atto ufficiale della Commissione Europea: le Banche Centrali si appropriano del valore della moneta perchè emettono solo addebitando, prestando, e il prestare è una qualità esclusiva del proprietario. Auriti chiamava questo meccanismo la truffa del signoraggio, parola sulla quale oggi si fa volutamente grande confusione, essendo per la massa direttamente associabile alla farfallina di Sara Tommasi e a qualche improbabile personaggio del mondo della politica che fa avanspettacolo che le si accompagna.

Non a caso l’indomito professore dell’Università di Teramo aveva denunciato la Banca d’Italia (organismo privato in mano per il 94% a banche commerciali e fondazioni bancarie) per truffa, associazione a delinquere, usura, falso in bilancio e istigazione al suicidio (grave piaga dei tempi nostri). Infatti la moneta, essendo il mezzo di scambio con il quale i cittadini riescono ad interagire tra loro dando vita al mercato, ovvero riuscendo a scambiarsi reciprocamente beni e servizi prodotti grazie al loro lavoro, deve appartenere esclusivamente a chi lavora, ovvero al popolo. Chi si appropria indebitamente del valore della moneta non fa altro che sfruttare il lavoro del popolo, lucrare sulle fatiche e sulla produzione altrui chiedendo che gli vengano pagati gli interessi sul prestito erogato. Questa è la gigantesca distorsione del nostro tempo, questa è la Grande Usura. E sotto il giogo di questa malefica piaga, sono finiti tutti i popoli d’europa che oggi pagano sulla propria pelle una crisi sistemica e indotta, figlia di un paradigma che dal 1694 (anno di costituzione della prima Banca Centrale, la Bank of England) si è imposto sulla vita dell’uomo.
Il meccanismo dell’indebitamento degli Stati da parte di organismi privati quali sono le Banche Centrali Nazionali è presente quasi ovunque. La Federal Reserve conia negli USA il dollaro, la Bank of England conia nel Regno Unito la Sterlina, la BCE conia l’Euro. Ma per quanto ci riguarda, esiste un’abissale differenza, che rende il sistema ancora più perverso: gli Stati dell’Unione non possono ricevere il credito direttamente dalla BCE (cosa che invece accade in modo diretto e subordinato negli altri paesi, ed Es. negli USA dove il Congresso ordina di stampare e la FED esegue) ma devono finanziarsi sul mercato, la parolina magica con cui ci prendono per i fondelli. In poche parole funziona così: la BCE crea denaro a suo piacimento, lo da in prestito alle banche commerciali (Draghi ha recentemente creato circa 1000 miliardi di euro prestandoli all’1%) e queste possono decidere se acquistare o meno i cosiddetti BOND, i titoli del debito (con tassi che vanno dal 5 al 7%). Non è possibile, quindi, per i paesi della UE attuare una propria politica monetaria, pur volendo accettare il meccanismo dell’indebitamento pubblico.
Tutto è nelle mani della Grande Usura. I signori della Goldman Sachs, banca d’affari targata USA, siedono vertici delle grandi istituzioni bancarie, Mario Draghi ne è l’emblema. Ora hanno deciso di gestire direttamente anche le Istituzioni politiche, Mario Monti e Papademos sono i primi alfieri al servizio della Goldman.
La politica è messa sempre più all’angolo, ostaggio del sistema finanziario che controlla partiti, sindacati e mondo dell’informazione.
L’unica soluzione che abbiamo è quella di informare il più possibile. Questi meccanismi perversi devono essere conosciuti da tutti, nonostante il boicottaggio del sistema dell’informazione del regime usurocratico. Lo sforzo deve essere titanico, la volontà e la determinazione non devono piegarsi di fronte a niente.
A tutti noi un in bocca al lupo.

domenica

Cipro : per salvare l’economia, prelievi forzati dai conti bancari dei cittadini


http://www.ticinolive.ch/2013/03/17/cipro-per-salvare-leconomia-prelievi-forzati-dai-conti-bancari-dei-cittadini/
17 marzo 2013
Per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, a Cipro i fondi destinati a salvare l’economia dello Stato vengono prelevati dai conti bancari dei cittadini.
Il nuovo governo di Cipro guidato dal presidente Nikos Anestesiades ha ottenuto, al termine di una lunga riunione dell’Eurogruppo, il benestare per un piano di aiuti “fino a 10 miliardi”. Serviranno a sostenere il sistema bancario dell’isola messo a dura prova, negli ultimi tre anni, dalla crisi greca e dalla ristrutturazione del debito di Atene, verso il quale le banche cipriote erano molto esposte.
Un punto cruciale del programma di assistenza verrà dai depositi bancari; è infatti prevista una tassa straordinaria che sarà del 6,75% per depositi inferiori a 100mila euro e del 9,9% per quelli superiori.
Complessivamente, il contributo dei cittadini ciprioti raggiungerà i 5,8 miliardi di euro.
Secondo quanto riportano le agenzie, subito dopo aver appreso l’annuncio moltissime persone si sono recate ai bancomat per prelevare i propri soldi.
La prima reazione della gente è stata di incredulità poi di rabbia, sia per le tante promesse “che i risparmi non sarebbero mai stati toccati” fatte dal governo e anche perché è la prima volta che i risparmi dei cittadini vengono colpiti direttamente dalle misure di un piano di aiuti europeo.

L'ITALIA HA VERSATO OLTRE 40 MILIARDI DI AIUTI


http://www.vincitorievinti.com/2013/03/litalia-ha-versato-oltre-40-miliardi-di.html
di Paolo Cardenà-
Nel giorno in cui la Banca d'Italia ci informa che il debito pubblico ha superato un nuovo record superando i 2022 miliardi di euro, vi propongo un semplice grafico, quasi banale, molto intuibile,  tratto dal  Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d'Italia pubblicato oggi.
Prima però, un piccolo inciso. I politici, in Italia, si stanno scannando per i tagli ai contributi pubblici dei partiti, e per i costi della politica. Queste misure, ammesso che riescano ad accordarsi (il che è da escludersi), potranno valere qualche decina di milioni di euro, o forse, nella migliore delle ipotesi,  qualche centinaio di milioni. Sono certamente molti, ma sono briciole rispetto a quello che l'Italia ha speso in forma di sostegno finanziario ai vari Fondi Salva Stati (ESM-ESFS) e come aiuti bilaterali ai paesi in difficoltà.
I vari tagli ai costi della politica,  per quanto importanti che siano, al cospetto dei dati che emergono dal grafico proposto, assumono un significato del tutto simbolico.

Ecco il grafico


Il grafico mostra, in valori cumulati, il sostegno finanziario dell'Italia nei confronti dei Paesi UEM, sia direttamente tramite accordi bilaterali con i vari Paesi bisognosi, sia attraverso i fondi Salva Stati ESFS ed ESM
Come è facile intuire, nel 2010, con lo scoppio della crisi,  l'Italia ha iniziato a metter mano al portafogli concedendo i primi sostegni finanziari. La banda celeste, invero, rappresenta gli aiuti erogati agli stati membri dell'UEM (principalmente alla Grecia) attraverso accordi bilaterali, e si può osservare che ad oggi, l'Italia ha pagato 10 miliardi di euro.
La banda viola chiaro, che inizia ad esprimersi all'inizio del 2011, rappresenta le risorse che sono state versate  al fondo EFSF (European Financial Stabitity Facility), e ad oggi sono altri 28 miliardi di euro circa.
La banda viola più scuro, invece, rappresenta i versamenti effettuati dall'Italia al fondo ESM, quantificabili, al momento, in ulteriori 5 miliardi di euro. Sommando le tre forme di sostegno finanziario a cui l'Italia ha partecipato, ne deduciamo che l'Italia ha già erogato circa 43 miliardi di euro,  buona parte dei quali nel 2012, anno in cui Mario Monti è stato  Presidente del Consiglio.
Chiaramente, l'Italia, al momento del pagamento di questi aiuti, non disponeva delle risorse necessarie e lo ha potuto fare indebitandosi sul mercato, a tassi la cui dinamica è  ben nota a tutti. Per indebitarsi sui mercati e quindi attrarre gli investitori, tranquillizzandoli sulla solidità (latente)  dell'Italia, un intero Paese è stato premuto di tasse, con effetti del tutto tangibili nella monotonia delle tasche degli italiani. Ora dovete sapere che buona parte dei soldi esborsati dall'Italia, sono andati a salvare le banche spagnole e quindi, indirettamente, gli interessi della Germania esposta sia verso la Grecia che verso la Spagna. Ma ce lo chiede l'Europa.

sabato

Camrea, Laura Boldrini eletta presidente a Montecitorio (16/03/2013)


6 marzo 1978, la strage di via Fani e il sequestro di Aldo Moro: ancora misteri


http://www.liberoquotidiano.it/news/cronaca/1205078/16-marzo-1978--la-strage-di-via-Fani-e-il-sequestro-di-Aldo-Moro--ancora-misteri.html
Trentacinque anni dopo
16/03/2013
Qual è il tuo stato d'animo?
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Roma - (Adnkronos) - Imposimato: "Non è ancora emersa tutta la verita. Resta da chiarire il mistero della motocicletta Honda presente sul luogo della strage". Priore: "Modus operandi brigatista simile a quello della Raf"
Roma, 16 mar. (Adnkronos) - Via Fani, 35 anni dopo. Ricorre oggi l'anniversario dell'azione di fuoco brigatista che si concluse con il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro e l'uccisione dei cinque uomini della scorta. Sono le 9,02 del 16 marzo 1978 quando scatta l'operazione dei terroristi. Tutto finisce tre minuti più tardi. La prima auto ad arrivare è una Fiat 132, quella su cui verrà fatto salire l'ostaggio. A bordo vi sono tre persone: una sosta, mentre le altre due salgono a piedi su via Stresa portando una grande borsa. Subito dopo arrivano due 128, che i testimoni vedono scendere in via Fani, contromano e a passo d'uomo.

Seguono una Fiat 128 targata Corpo Diplomatico, una che sbarra a monte via Maderno e una moto Honda. Il gruppo che opera è costituito da circa 19 terroristi: 9 per sparare, 6 alla guida e 4 di copertura. Vengono colpiti prima l'appuntato Domenico Ricci e Oreste Leonardi, che è alla guida della Fiat 130 di Moro. Dal lato sinistro della strada, i terroristi aprono il fuoco contro l'Alfetta uccidendo Raffaele Iozzino, sceso con la pistola d'ordinanza dall'auto, Giulio Rivera, e ferendo gravemente Francesco Zizzi, che morirà poco dopo al Policlinico Gemelli.

Sui fatti di via Fani "non è ancora emersa tutta la verita: l'ipotesi che ci stata una sorta di congiura si fa sempre più robusta", dice all'Adnkronos Ferdinando Imposimato, dal 1978 al 1984 giudice istruttore del processo Moro. "Ferma restando la responsabilità dei brigatisti quali esecutori della strage -prosegue- resta sempre il mistero inquietante di quella motocicletta Honda. I terroristi non ne hanno mai indicato il conducente, che potrebbe essere stato uno dei membri della Raf".

"Quello della motocicletta presente sul luogo dell'agguato -dice il giudice Rosario Priore- è uno degli elementi che bisogna ancora chiarire del tutto per fare piena luce su quell'episodio terroristico. Ricordo che si parlò della presenza di una persona che dava ordini in tedesco, del resto quell'operazione ricalcava il modus operandi classico della Raf. Le Br si incontravano con i terroristi della Raf, non si può quindi escludere che vi fosse qualche componente straniero nel commando. Diversi indizi portano a questo, anche se non ci sono certezze".

A giudizio di Priore, "bisogna continuare a cercare, ad indagare fino ad arrivare a chiarire tutti gli aspetti ancora controversi di quella vicenda. Quando si apriranno determinati archivi, e mi riferisco a quelli dei Paesi dell'Est, si potranno intravedere nuovi spiragli per fare piena luce non solo su quest'episodio ma anche su tutta la stagione degli attentati e delle stragi".

venerdì

Bossi: Maroni ha un culo largo per poter stare su molte poltrone



di REDAZIONE
Sconfitto dal Consiglio federale che ha confermato Maroni segretario fino al 2015, Umberto Bossi usa parole dure contro il numero uno del Carroccio e neo governatore della Lombardia. Parlando con i giornalisti alla Camera, il senatur afferma che «Maroni da sei mesi dice mi dimetto», riferendosi ovviamente alla guida del movimento padano. Dopo l’elezione alla presidenza della Regione, «poi, all’ultimo momento, si è accorto di avere il culo molto più largo, per poter stare su molte poltrone». Ma, osserva Bossi, «la Lega è in subbuglio, perché è sempre stata abituata ad avere un segretario che mantiene la parola. Bisogna sempre mantenere la parola».
Per il padre fondatore della Lega il fenomeno M5S non avrà una vita lunga: «Grillo farà fatica a far entrare il suo schema in Parlamento: lui non vuole essere parlamentarizzato, ma alla fine sarà costretto a fare dei cambiamenti».
«Se un governo si mette in piedi poi non c’è più niente che lo tira giù», ha aggiunto il senatur, conversando con i cronisti di Montecitorio. «Appoggiare Bersani?- conclude Bossi- così si rischia di passare per traditori. Se Berlusconi è interessato a fare un governo con Bersani faccia lui la prima mossa, non tocca a noi fare il primo passo».

giovedì

Strategia Energetica Nazionale: ecco il decreto

fonte: http://www.pmi.it/economia/green-economy/articolo/63266/strategia-energetica-nazionale-ecco-il-decreto.html

Barbara Weisz - 14 marzo 2013
La strategia arriva al termine di un lungo percorso che ha visto, dopo l’approvazione degli indirizzi generali da parte del Governo, un confronto con istituzioni, associazioni di settore, parti sociali e una consultazione pubblica online.
Il nuovo piano serve a sviluppare un mercato dell’Energia competitivo, migliorare gli standard ambientali e rafforzare la sicurezza di approvvigionamento, centrando i target europei “20-20-20″.
Riduzione costi energetici e allineamento dei prezzi all’ingrosso con i livelli europei.
Risparmio stimato in 9 miliardi di euro l’anno sulla bolletta nazionale di elettricità e gas (pari oggi a circa 70 miliardi), da perseguire nel seguente modo: 13,5 miliardi l’anno di risparmi con una riduzione dei prezzi, degli oneri impropri (a parità di quotazioni internazionali delle commodities) e dei volumi (rispetto ad uno scenario di riferimento inerziale), a cui bisogna sottrarre costi aggiuntivi intorno ai 4-5 miliardi l’anno per  incentivi a rinnovabili, efficienza energetica e nuove infrastrutture.
Riduzione consumi primari del 24% rispetto all’andamento inerziale (obiettivo europeo: 20%) e raggiungimento del 19-20% di incidenza dell’energia rinnovabile sui consumi finali lordi (obiettivo europeo: 17%): le rinnovabili devono diventare la prima fonte nel settore elettrico al pari del gas con un’incidenza del 35-38%.
Minore dipendenza di approvvigionamento e maggiore flessibilità del sistema: riduzione della fattura energetica estera di 14 miliardi di euro l’anno (rispetto ai 62 miliardi attuali, e -19 rispetto alle importazioni tendenziali 2020), con la riduzione dall’84 al 67% della dipendenza dall’estero. Ciò equivale a circa 1% di PIL addizionale e, ai valori attuali, sufficiente a riportare in attivo la bilancia dei pagamenti, dopo molti anni di passivo.
Questi risultati si riferiscono a uno scenario di crescita in linea con le ultime previsioni della Commissione Europea. Per raggiungerli, sono state individuate, come priorità, le seguenti azioni concrete:
Promozione dell’efficienza energetica.
Mercato del gas competitivo, con prezzi allineati all’Europa, vero Hub sud-europeo.
Sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili, contenendo al contempo l’onere in bolletta.
Mercato elettrico integrato con quello europeo, efficiente, con prezzi competitivi e con la graduale integrazione della produzione rinnovabile.
Ristrutturazione del settore della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti, verso un assetto più sostenibile e con livelli europei di competitività e qualità del servizio.
Sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, con importanti benefici economici e di occupazione e nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale.
Modernizzazione del sistema di governance del settore, per rendere più efficienti i processi decisionali.
In ottica di più lungo periodo, si propongono azioni d’intervento per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico, funzionali in particolare allo sviluppo dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e all’uso sostenibile di combustibili fossili.
Il ministero sottolinea come, rispetto alle linee guida predisposte in ottobre, una serie di cambiamenti sono stati inseriti grazie ai contributi delle consultazioni pubbliche e con le parti sociali, ad esempio in materia di infrastrutture strategiche gas, grid parity delle rinnovabili elettriche, efficienza energetica.
Il confronto durato da ottobre a dicembre ha coinvolto le istituzioni rilevanti (Parlamento, Autorità per l’Energia e Antitrust, Conferenza Unificata, Cnel, Commissione Europea), oltre 100 tra associazioni di categoria, parti sociali e sindacali, associazioni ambientaliste e di consumatori, enti di ricerca e centri studi, mentre la consultazione pubblica online ha portato a oltre 800 suggerimenti.

Roma, dipendente Bankitalia morto impiccato in casa: gioco erotico finito male?

fonte: http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/roma-dipendete-bankitalia-morto-impiccato-in-casa-gioco-erotico-finito-male-1503451/

ROMA – Un dipendente della Banca d’Italia, M.P., è stato trovato morto in casa con una cinta al collo il 14 marzo. L’uomo, 47 anni, è stato trovato nudo e con la cinta dei propri pantaloni al collo. Nell’abitazione in via Andrea Sacchi 4, nel quartiere Flaminio di Roma, non sono stati rinvenuti segni di colluttazione, né di rapina. L’uomo potrebbe essere morto per un gioco erotico finito male.
I vigili del fuoco sono entrati nella casa dell’uomo, dipendente della Banca d’Italia che viveva da solo, e l’hanno trovato impiccato con la cinta dei pantaloni alla spalliera del suo letto.  L’uomo è morto per strangolamento. La finestra della camera da letto era aperta, ma la porta era chiusa dall’interno ed i vigili del fuoco hanno dovuto forzarla per entrare.
Sul corpo non vi sono segni di violenza e dalla casa non sono stati portati via né denaro, né oggetti preziosi. Per questo motivo gli inquirenti al momento hanno escluso che si sia trattata di una rapina.

mercoledì

Bilancio Ue bocciato dal Parlamento europeo. Sotto accusa l’austerità


di  Amerigo Rivieccio
ROMA - Il Parlamento di Bruxelles ha oggi bocciato la bozza di bilancio pluriennale, 2014-2020. adottata a inizio febbraio dai capi di Stato e di governo. Gli euro parlamentari hanno infatti approvato una risoluzione in cui si chiede di rinegoziare il budget settennale dell'Ue.
Troppi tagli, troppi pochi soldi e troppe rigidità nel documento avrebbero messo a rischio, sempre secondo il Parlamento guidato da Martin Schulz, l’attuazione di importanti programmi comunitari.
Si apre quindi una delicata fase, mai vista finora, di contatti e rinegoziazione del documento per trovare un nuovo equilibrio al primo bilancio comunitario che scontava dei veri tagli.
Una occasione eccellente per portare al centro della discussione politica la reale utilità ed efficacia del tanto sbandierato rigore di bilancio.
Schulz.Un giorno importante per la democrazia europea
Era stato proprio Schulz, a poche ore di distanza dalla approvazione del compromesso raggiunto dai leader dei governi che Monti aveva definito come una vittoria a dare un giudizio fortemente critico, una bocciatura a tutti gli effetti. 
“Questo è un giorno e un passo molto importante per la democrazia europea”, ha commentato i Martin Schulz, “Spero che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi troveremo un compromesso”. L’esponente del Partito socialista europeo ha sottolineato che si deve “ lavorare per un risultato che sia più attento ai bisogni dei cittadini”
Era stato concordato dai capi di governo
Il Parlamento europeo si è riunito oggi in plenaria a Strasburgo dove ha proceduto a sottoporre a votazione la risoluzione che chiedeva di rinegoziare il budget settennale dell'Ue. Con l’approvazione di questa risoluzione è stato quindi bocciato il bilancio Ue 2014-2020 che lo scorso mese di febbraio, i leader dei 27 avevano concordato. L’accordo dei 27 era relativo ad un quadro finanziario pluriennale da 960 miliardi di euro di impegni e 908,4 mld di spese effettive riducendolo per la prima volta nella storia dell'Ue.
La risoluzione, approntata dai capigruppo di Ppe, S&D, Alde, Verdi e Gue, è stata approvata con 506 voti a favore, 161 voti contrari e 23 astenuti.
Nel testo veniva sottolineata 'la gravit'' della carenza di fondi per effettuare i pagamenti. Una situazione che secondo gli europarlamentari mette a rischio il regolare funzionamento di una serie di programmi comunitari considerati importanti, quali Erasmus, il Programma quadro di ricerca e il Fondo sociale, a causa della carenza di fondi che comincia fin dall’inizio dell’esercizio.
La questione del deficit
Un altro aspetto che preoccupa il Parlamento è quello relativo alla questione delle fatture non pagate dal 2012 di cui si chiede una regolazione prima della conclusione dei negoziati sul nuovo quadro finanziario pluriennale, e sull’argomento il Parlamento chiede che il Consiglio Ue s'impegni formalmente a pagare nel 2013 tutte le fatture in scadenza, in modo da evitare di trasferire il deficit nel nuovo budget settennale.
Si chiede maggiore flessibilità
La risoluzione approvata affida il mandato a negoziare una maggiore flessibilità.
Con questa si potrebbero ottenere un uso più efficiente delle risorse e una revisione di medio termine del budget 2014-2020. L’anno prossimo sono infatti previste le elezioni e si corre il rischio di ingessarne fin da ora le possibili attività.
 Le risorse  cuore del problema
Il vero cuore del problema potrebbe essere però la possibilità di avere maggiori risorse proprie per il bilancio dell’Europarlamento, ovvero una maggiore capacità impositiva e una minore dipendenza dai contributi nazionali al bilancio UE.
Attualmente le risorse proprie costituiscono meno del 20 per cento del bilancio UE e si potrebbero ampliare in vari modi. Tra le modalità prese in considerazione in tempi recenti il versamento diretto di una parte dell’IVA o la tassa sulle transazioni finanziarie.
Cozzolino ( Pd) Il bilancio va cambiato
Con il 'no' dell'Europarlamento all'accordo sul bilancio Ue 2014-2020 deciso dagli stati 'e' arrivata dalla più importante istituzione democratica del continente una solenne bocciatura di quelle politiche di austerità che hanno portato l'Europa nel cono d'ombra delle recessione e che stanno causando un progressivo impoverimento dei cittadini'.
A dichiararlo è stato il vice capodelegazione del Pd al Parlamento europeo Andrea Cozzolino, che giudica il voto di Strasburgo 'importante' proprio per la opposizione assoluta alla volontà di austerità.
Il bilancio 2014-2020, conclude quindi Cozzolino, 'va cambiato'.Secondo il rappresentante  italiano“è ora di voltare pagina, è venuto il momento di inaugurare in Europa una nuova stagione di crescita'.

Primo discorso ai fedeli di Francesco I






















Berlusconi, pm "irresponsabili". Pd: si' ad arresto se atti "fondati"

Fonte: http://www.agi.it/politica/notizie/201303131403-pol-rt10203-berlusconi_pm_irresponsabili_pd_si_arresto_se_atti_fondati



 14:03 13 MAR 2013

(AGI) - Roma, 13 mar. - Nemmeno 24 ore dopo la nota del Quirinale che intendeva ristabilire i termini di un rapporto costruttivo tra politica e magistratura, riparte lo scontro sulla giustizia e sul futuro personale di Silvio Berlusconi.
  E' proprio l'ex presidente del Consiglio che, in un'intervista al settimanale "Panorama", taccia le toghe di "atteggiamenti irresponsabili". "I ripetuti comportamenti processuali di una parte della magistratura, che e' mossa da un pregiudizio politico, non sono piu' tollerabili. La magistratura si e' trasformata da ordine dello Stato in un potere assoluto, onnipotente e irresponsabile", affonda, "La lotta in Parlamento" su questi temi "sara' una battaglia combattuta per ottenere, naturalmente, le stesse garanzie per gli esponenti politici della sinistra. E' una battaglia che non si puo' perdere, se non si vuole che l'Italia continui a essere un Paese in cui nessuno che si dedichi al servizio della politica possa vivere sereno".
  A poco sono vale allora le parole del Capo dello Stato, secondo il quale invece il clima di serenita' e' necessario per affrontare le difficili scelte da compiere nelle prossime settimane. Del resto, che il problema fosse destinato ad esplodere di nuovo lo si era capito fin dalla mattina, quando il coordinatore della segreteria del Pd Maurizio Migliavacca aveva detto di non escludere un si' del suo partito ad una eventuale richiesta d'arresto per il capo del Pdl.
  Queste le parole di Migliavacca: certo, "dovremmo vedere le carte", ma il Pd ha un "atteggiamento rispettoso di atti della magistratura che fossero corretti"."Se gli atti" a suffragio della richiesta "fossero fondati penso proprio di si'". Come dire: se le carte fossero credibili, il voto sarebbe quello.
  Immediata la reazione di Capezzone, Mattioli, Lupi, Santanche' e Gelmini. Poi ci pensa il diretto interessato.
  Mentre Napolitano dirama una nota in cui sprona le forze politiche ad occuparsi della crisi economica. Parrebbe una mossa in vista della formazione di un nuovo governo. Ma l'orologio della politica sembra fermo a ieri.

martedì

Crisi, al via il "Two pack" per la supervisione dei bilanci zona euro

Le nuove norme approvate martedì dal Parlamento Ue
12 marzo 2013 15:48
Promuovere la crescita e aumentare i poteri di sorveglianza e di veto sui bilanci dei paesi della zona euro della Commissione, rinforzandone allo stesso il controllo democratico. È quanto prevedono le nuove norme votate dall’Europarlamento che introducono anche un’assistenza finanziaria all'Ue. Ad esempio, è previsto che il potere della Commissione di imporre obblighi straordinari d'informazione ai paesi europea dovrà essere rinnovato ogni tre anni e il Parlamento europeo o il Consiglio potranno revocarlo. Anche il lavoro della cosiddetta "troika" (Commissione, Bce e Fmi) nella supervisione delle riforme economiche nei paesi in difficoltà sarà oggetto di maggior controllo, aumentandone cosi la trasparenza. I deputati, guidati da relatori Jean-Paul Gauzès (PPE, FR) e Elisa Ferreira (S&D, PT), non hanno radicalmente modificato gli obiettivi originali del pacchetto legislativo, ma hanno aggiunto una serie di disposizioni per assicurare che la necessità di stimolare la crescita e l'occupazione sia tenuta in debito conto. Hanno anche inserito molte clausole per migliorare la trasparenza e la responsabilità democratica del sistema di supervisione.

Gli emendamenti approvati dal Parlamento vogliono garantire che il nuovo sistema di sorveglianza fiscale sia maggiormente diretto alla crescita. Per esempio, la valutazione della Commissione sui bilanci paese per paese dovrà considerare più aspetti per evitare che i tagli proposti non blocchino gli investimenti per la crescita. I deputati sostengono che quando un paese è invitato a fare tagli consistenti, tali sforzi non devono pregiudicare gli investimenti nel campo dell'istruzione e della sanità, in particolare nei paesi in gravi difficoltà finanziarie. Inoltre, la tabella di riduzione del deficit dovrebbe essere applicata in modo più flessibile in caso di circostanze eccezionali o grave recessione economica.

Conclave, protesta Femen in piazza San Pietro 12/03/2013


MANNARINO - SVEGLIATEVI ITALIANI !


Alle Banche italiane, servono 21 miliardi per eliminare dai bilanci i titoli tossici.


Mediobanca: "chiedere aiuti Bce per una bad bank italiana"
Pubblicato il 12 marzo 2013| Ora 07:29
Sarebbe questa, secondo il centro studi di Piazzetta Cuccia, la soluzione ai mali finanziari dell'Italia. Una dotazione di capitale da 18 miliardi di euro per depurare gli istituti dalle perdite e asset tossici. Banche in apnea, nonostante i corposi aiuti di Draghi.
La proposta di Mediobanca: chiedere aiuti alla Bce per finanziare una bad bank italiana.
ROMA (WSI) - La soluzione dei mali finanziari d’Italia? Secondo il centro studi londinese di Mediobanca sarebbe quella di creare una bad bank, ovvero un veicolo societario dove fare confluire le attività "tossiche" delle banche della Pensiola, con una dotazione di capitale da 18 miliardi di euro fornita dal fondo salva Stati Esm.
L’obiettivo è depurare gli istituti finanziari dalle perdite derivanti da derivati e altri asset di cattiva qualità a spese del fondo europeo (e della cittadinanza che dovrebbe così sottoporsi a nuove misure imposte dall’Ue), aumentando la copertura dei crediti "dubbi" e allineandola agli standard del vecchio continente.
Mediobanca Securities rileva però nello stesso report come "l’incertezza politica attuale" impedisce la realizzazione del progetto, perché "all’Italia manca l’autorità per negoziare con le istituzioni europee" su questo tema.
Piazzetta Cuccia aveva già fissato in una ricerca pubblicata a ottobre il bisogno di capitale per una bad bank finanziata dall’Europa, segnalando che la carenza di capitale del sistema bancario ammontava a 33 miliardi, contro i 18 miliardi annunciati adesso.
L’Europa, secondo il rapporto di oggi, non potrebbe negare l’aiuto all’Italia, visto il precedente della Spagna e il nostro contributo di 125 miliardi al fondo Esm. In soldoni si tratta di 21 miliardi a disposizione di uno "sforzo di pulizia" da realizzare con pesanti accantonamenti nel quarto trimestre senza compromettere né il mantenimento di "un adeguato livello di capitale" né il rispetto delle "attese di dividendo per azione", che verrebbe allineato al minimo previsto dal mercato.
L’iniziativa di Mediobanca segue di alcuni mesi una dichiarazione dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti che, tra gli altri, aveva avvertito che il prossimo governo dovrà fare entro l’estate una manovra da 14 miliardi.
Mediobanca Securities segnala in dettaglio che, seguendo le indicazioni del report, il tasso di copertura dei crediti "dubbi" del sistema salirebbe al 50 per cento (ovvero 50 euro accantonati ogni 100 euro di crediti dubbi) a fronte di un tasso medio di copertura del 53% in Europa, dove tra l’altro le regolesulle sofferenze sono meno stringenti.
Il maggior contributo, secondo il centro studi londinese, sarebbe di Intesa Sanpaolo(7,9 miliardi) e Unicredit (7,6 miliardi), che vedrebbero il loro tasso di copertura crescere al 59 e al 53 per cento. "Riteniamo che il mercato apprezzerebbe la creazione di una bad bank finanziata dall’Esm", conclude Mediobanca, "in quanto stimolerebbe la disponibilità di credito per far ripartire l’economia dopo la disciplina fiscale di Monti".
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lunedì

Politica e imprese colluse, così è morta la Grecia"


Fonte:  http://www.linkiesta.it/politica-e-imprese-colluse-cosi-e-morta-la-grecia#ixzz2NFou0elK

Lucas Papademos, ex vicepresidente della Bce, ha ricevuto poco fa l’incarico di formare un nuovo gov
Come la Grecia. Un timore che diventa ogni giorno più concreto, con gli spread che crescono e la politica che sprofonda nel caos. E “Come la Grecia” è anche il titolo di un libro uscito a fine settembre per Fandango. Un libro-reportage duro, pieno di numeri e date, che scava nel presente (e nel passato) della Grecia. 
L’autore, Dimitri Deliolanes, è greco, ma ha scritto il libro in italiano. Corrispondente della Tv pubblica ellenica Ert, vive in Italia dal 1967, l’anno del golpe dei colonnelli. “Mia madre era comunista e avrebbe avuto problemi con il regime. Preferì portarmi in Italia in tenera età, perché qui studiava mio fratello, e lavorava mia sorella.”
Nel suo libro Deliolanes racconta una storia di cattiva politica. Corruzione. Palazzinari. Clientele. Parassitismo burocratico. Evasione fiscale. Media compiacenti. Ma anche la storia di un antico popolo orgoglioso, “una nazione senza fratelli” che crede ancora nella democrazia e nel lavoro. Nella speranza che la Grecia, in qualche modo, risorga.
Deliolanes ha concesso a Linkiesta un' intervista che, come il suo libro, scava nelle viscere della politica e della società greche. E si sa, scavare non è mai indolore: nel corso dell’intervista Deliolanes si arrabbia e si indigna, racconta aneddoti incredibili e sfata luoghi comuni. Parla soprattutto della Grecia. Ma è come se parlasse quasi sempre dell’Italia.
Il suo libro si intitola “Come la Grecia”. Ma cosa accomuna l’Italia alla Grecia ?
I punti in comuni sono diversi. Il primo è la scarsa qualità della classe politica. Nel confronto, ci tengo a sottolinearlo, la variante greca è peggiore di quella italiana. Tuttavia anche la classe politica italiana non brilla per lungimiranza e capacità di risolvere i problemi reali dello Stato, e della società. In Grecia abbiamo, non dico un ritardo, ma addirittura una cronicizzazione dei problemi di costruzione di uno Stato moderno ed europeo, proprio perchè i politici hanno tuttora enormi difficoltà a sganciarsi dal modello clientelare costruito dai loro predecessori. In Italia c’è qualcosa di simile, pur con dimensioni meno estese che in Grecia, ma certo è un punto in comune. 
La seconda somiglianza è quest’atteggiamento di grave negligenza e noncuranza nei confronti delle casse dello Stato. Voglio dire, i politici dovrebbero essere prima di tutto dei buoni amministratori, ma vediamo che a livello nazionale di buoni amministratori ce ne sono stati veramente pochi. A livello locale forse qualcosa di meglio c’è stato, però a livello nazionale i soldi dello Stato sono sempre stati gestiti con totale noncuranza.
La Grecia è stata dominata dai turchi per quattro secoli: gli storici l’hanno definita turcocrazia. Nel suo libro lei parla di una pratica ottomana, il rusvet, che sopravvive ancora in Grecia. Di cosa si tratta?
Questa pratica era il favore che un pascià o un bey concedeva al suddito. Una pratica per certi versi simile a quella degli antichi Romani, grazie alla quale il patrizio si circondava di clienti, gente del popolo che costituiva la sua base di sostegno, di consenso, dato che nessun potere può basarsi solo sulla forza o sull’intimidazione. Nel caso ottomano il pascià o il bey elargiva graziosamente dei favori, che potevano essere soldi, un impiego pubblico e così via, e questa pratica è continuata anche dopo l’indipendenza della Grecia, che è più antica di quella dell’Italia. Fino a oggi i politici hanno ottenuto il consenso (e quindi il voto) offrendo in cambio al cittadino un posto nella pubblica amministrazione e un’ampia tolleranza a piccole e grandi illegalità come l’evasione fiscale, la costruzione di edifici abusivi ecc…
Un sistema clientelare, dunque, che noi italiani conosciamo bene.
Certo. Sono i politici, non i cittadini, ad avere la grossa responsabilità di questo sistema.
Però i cittadini li hanno eletti, questi politici.
Osservazione molto giusta. Difatti a causa del mio libro sono stato accusato, anche da alcuni amici, di essere stato troppo critico verso i cittadini greci. Io però credo che una società che tollera certe storture si renda in qualche maniera complice del malcostume. Voglio dire: all’epoca della primavera di Palermo i palermitani si sono ribellati contro il pizzo, contro la connivenza con la mafia, e lo hanno fatto per ragioni di dignità. Avrebbero dovuto farlo anche i greci: non adesso, ma qualche anno fa.
Chi sono i responsabili della crisi greca?
Guardi, in Grecia c’è questo politico, il vicepresidente del consiglio [sotto Papandreou] Theodoros Pangalos, che è un personaggio provocatorio perché spesso le spara grosse, e altrettanto spesso dice delle verità scomode. L’anno scorso Pangalos ha detto una cosa che ho provocato una grande discussione, e che infatti cito nel libro. In un dibattito televisivo ha detto: «Mi chiedono chi si sia mangiato tutti questi soldi, e io rispondo: li abbiamo mangiati tutti insieme, voi eleggendoci e noi amministrando lo Stato». 
Questa frase in Grecia ha scatenato enormi polemiche, e io la giudico una mezza verità: è vero che c’è stato questo voto di scambio, come dicevo prima, ma ciò che Pangalos non ha detto è che non tutti hanno partecipato a questa spartizione, e che la spartizione non è avvenuta in termini equi. Una cosa è avere un posto di lavoro nella pubblica amministrazione o in un’azienda pubblica, un’altra è mettere le mani nelle casse dello Stato e appropriarsi del denaro pubblico in maniera più o meno incontrollata.
Aggiungo poi un’altra cosa sconvolgente, che ho scoperto scrivendo il libro: il sistema mediatico greco, che definisco complice e concausa della crisi, non informò in alcun modo l’opinione pubblica greca al momento dell’adesione all’euro; eravamo molto felici, e tutte le forze politiche (con l’esclusione del partito comunista greco che è da sempre anti-europeista) elogiavano questo grande risultato, ma nessuno, tantomeno il governo, si preoccupò di informare l’opinione pubblica su quali fossero le condizioni comportate dall’adesione. Questa è un’enorme responsabilità del governo socialista dell’epoca, che pur di farci aderire all’euro falsificò i conti.
È interessante scoprire che anche la Chiesa ortodossa abbia deciso di contribuire al risanamento dei conti. 
La Chiesa greca ha accettato di sottoporre alla fiscalità ordinaria tutte le sue proprietà, per la maggior parte immobili, usate a scopi commerciali. Sono esenti dalle imposte i luoghi di culto, non solo quelli ortodossi ma di tutti i culti riconosciuti dallo Stato greco (perché in Grecia c’è un riconoscimento da parte delle autorità giudiziarie). A me sembra una soluzione molto dignitosa, perché far pagare le imposte alle chiese, alle sinagoghe o alle moschee sarebbe una grande ingiustizia.
Lei ha scritto, in greco però, un libro sul Presidente del Consiglio che nel suo Paese ha riscosso molto successo.
Ho cercato di informare i greci su questo personaggio di cui all’estero si conoscono solo le avventure romantiche e giudiziarie, le barzellette ecc… La sua biografia però è sconosciuta, e io ho cercato di colmare questo vuoto informativo.
Secondo lei la poca credibilità internazionale del Presidente del Consiglio contribuisce alla crisi italiana ?
Se la sua presenza a capo del governo aggrava la crisi ? Venerdì [4 novembre] ho seguito allibito la sua conferenza stampa da Cannes in cui diceva che non c’è crisi, che i ristoranti sono pieni. Questo non è l’atteggiamento che aiuta un Paese a superare la crisi. Uno inizia a guarire da una malattia quando capisce di essere malato. Se non prende coscienza di essere malato non guarirà mai.
La Grecia, scrive nel suo libro, è un Paese di statali e di affittuari di stanze per turisti. In effetti molti degli statali greci hanno fama di fare poco o niente. 
Non solo fanno poco o niente, ma spesso non sono in grado di fare nulla. Lavorando nella tv pubblica mi sono imbattuto in questi personaggi cresciuti all’ombra delle varie clientele politiche… molto spesso ci sono stati imposti anche come direttori. E ho scoperto un sottobosco di personaggi di immensa ignoranza e immensa incapacità, che però riescono a stare sempre a galla perché sono fedeli esecutori di ordini politici altrui. Poi ci sono i poveracci, assunti nella pubblica amministrazione senza saper fare nulla. Tanto tempo fa abbiamo avuto, all’ambasciata greca di Roma, un’impiegata che si occupava di questioni culturali e diceva “C’è una mostra sull’architettura greca nel secolo iks iks” [pronunciava secolo XX come se fosse un’unica parola]. Una dattilografa mi confidò di avere paura di essere contagiata dal virus del computer… Ne parlo molto nel libro perché si tratta di cose veramente assurde.
Purtroppo il clientelismo colpisce anche l’Italia, specialmente il nostro Mezzogiorno.
Io penso che un italiano del sud o che comunque conosce il Meridione riesca a capire la situazione greca molto meglio. Perché il Meridione italiano ha il problema che ha la Grecia: lo Stato è il principale datore di lavoro e il principale cliente del settore privato, quindi tutto gira attorno allo Stato, e attorno al potere politico che controlla la pubblica amministrazione.
In Grecia c’è però anche una borghesia di grande cultura, cosmopolita. Una “borghesia mediterranea” che si ritrova pure a Bari, a Palermo, a Napoli, a Salerno, a Lecce…
Sì, la Grecia è un Paese povero con un alto indice di cultura. Il numero di laureati greci è maggiore di quello italiano. Ciò che manca alla Grecia è, per ragioni storiche, una classe imprenditoriale lungimirante, seria e capace. Ciò si spiega con il fatto che noi pagammo la guerra fredda con una devastante guerra civile. Una guerra civile che fece emergere come nuova classe imprenditoriale i profittatori di guerra, i criminali… Gente poco raccomandabile, legittimata dal conflitto tra gli alleati e i comunisti. Con la dittatura dei colonnelli arrivò il loro dominio definitivo, alimentato da prestiti e finanziamenti pubblici. Poiché la vecchia borghesia rimasta era ostile, i colonnelli vollero favorire questa classe imprenditoriale di avventurieri soprattutto in due settori: l’edilizia e il turismo. Purtroppo, dopo la fine della dittatura dei colonnelli, abbiamo avuto un dominio quasi assoluto di questa classe imprenditoriale, che ha cacciato i vecchi armatori, costringendoli ad andare a Londra e rendendoli subalterni, e si è appropriata dei mezzi di informazione, investendo pesantemente nelle televisioni private. 
E perché?
Perché? Perché in questa maniera si può perennemente ricattare il potere politico: io ti do visibilità con la mia tv e ti faccio vincere le elezioni, tu in cambio mi dai appalti, e mi fai mettere le mani nelle casse dello Stato. Questo è il problema della classe imprenditoriale greca. Bisogna riconoscere che il precedente premier, Kostas Karamanlis [del partito Nuova Democrazia] di centrodestra, nel 2004, subito dopo aver vinto le elezioni, propose di togliere di mezzo questa classe imprenditoriale, da lui testualmente definita di “papponi”, “lenoni”. Fece una legge che vietava a chiunque avesse a che fare con lo Stato di possedere mezzi di informazione. Scoppiò una guerra giuridica, un finimondo che arrivò alla Corte europea di giustizia. Ovviamente il potere politico dovette cedere di fronte alla potenza del potere economico, il centrodestra perse la battaglia e da allora anche qualsiasi velleità riformista. Fu una sconfitta che segnò tutto il comportamento del governo di centrodestra nei 5 anni di amministrazione.
E Samaras, l’attuale leader di Nuova Democrazia ? Molti lo definiscono un conservatore populista…
È vero, ha affrontato questa crisi con un forte piglio populista. Quando è scoppiata la crisi l’anno scorso, ha detto che con lui al governo la crisi sarebbe stata superata entro un anno. Ha anche contestato molte delle misure contro la crisi, scelte non dal governo ma imposte dalla troika che controlla le finanze greche… Devo però dire che negli ultimi giorni, per fortuna, è sembrato moderare molto la sua posizione, anche se poi traspare la smania del nuovo gruppo dirigente di Nuova Democrazia di vincere le elezioni, e prendere in mano il governo del Paese. Non c’è nessun problema che i conservatori vincano e governino, ma probabilmente queste elezioni, quando si faranno, saranno contrassegnate da un enorme voto di protesta, quindi astensioni, voti nulli, schede bianche ecc… 
Crescerà l’estrema destra?
Stanno crescendo tutti i partiti più piccoli, sia di estrema destra sia di estrema sinistra, perché sarà un voto di protesta. Voto di protesta giustificato, se vogliamo, perché i due maggiori partiti che hanno governato nell’ultimo decennio hanno entrambi enormi responsabilità in questa crisi.
Qual è stato l’impatto della crisi sulla vita quotidiana dei greci? 
La crisi ha inciso molto. Ci sono famiglia rovinate, lavoratori disoccupati… In Grecia il sussidio di disoccupazione consiste in 500 euro per un anno, e quando è finito se non hai una rete familiare di sostegno sei veramente alla disperazione. E c’è molta gente che è alla disperazione, persone del ceto medio che ormai non hanno reddito e vanno a mangiare alle mense delle organizzazioni non governative o della Chiesa. C’è gente che lascia le grandi città e torna dai parenti, al paesello, perché lì ha un tetto e un piatto di minestra. Ci sono nonne, nonni che con la loro pensione di 400 euro mantengono famiglie intere. Abbiamo un milione di disoccupati in Grecia [su una popolazione totale di circa 11 milioni di abitanti].
Il quotidiano austriaco Die Presse ha parlato di genocidio finanziario. Lei cosa pensa a riguardo?
Non userei un’espressione così forte, però di certo la situazione è estremamente dolorosa, perché è un fenomeno a catena. Poiché ci sono molti disoccupati, si verifica una forte compressione dei salari, quindi non si spende, quindi il negoziante non vende, quindi il negozio chiude, quindi anche chi possiede immobili non ha soldi… Tutta una catena di grande depressione. Chi se la passa bene ? Se la passa bene l’evasore fiscale, chi specula in borsa e magari ha scommesso sul default della Grecia…
Negli ultimi tempi dalle banche greche si è verificata una cospicua fuga di capitali. 
È vero che uno dei rimproveri che l’opinione pubblica greca ha rivolto al governo di Papandreou è proprio non aver represso e punito questi comportamenti. Certo, vanno fatti dei sacrifici perché bisogna rimanere nell’eurozona, nessun greco sogna di abbandonare l’eurozona, però l’opinione pubblica avrebbe voluto sacrifici distribuiti un po’ più equamente nella società, e purtroppo questo non è avvenuto.
Lei ha appena detto che nessun greco sogna di lasciare l’euro. Davvero? Nessun greco sogna di tornare alla dracma? 
No, questa è una cosa che si è inventata la stampa italiana. Diciamocelo chiaramente: oggi l’unica forza politica anti-europeista è il Partito Comunista, ma se domani ci fossero le elezioni il Partito Comunista arriverebbe a malapena al dieci per cento. Tutte le altre forze politiche di destra, sinistra e centro sono a favore della nostra permanenza nella zona euro. 
Lei è ottimista sul futuro della Grecia ?
Sì, io sono ottimista. Voglio esserlo per ragioni di patriottismo, ma anche perché alla fine, in qualche maniera, si dovrà uscire da questa crisi. Soffriremo, bisognerà trovare la via per riformare questo sistema politico e lo Stato, e dare ossigeno all’economia. Non possiamo morire. 
E sull’Italia ? Lei è ottimista?
Sì, sono ottimista anche sull’Italia, perché conosco la forza dell’Italia. Ho parlato prima dei punti in comuni con l’Italia, ma vorrei anche parlare delle differenze. In quanto a classe imprenditoriale beh, non c’è paragone. L’Italia è un Paese che produce, è un Paese che ha idee, è un Paese capace di esportare. Ha bisogno di sostegno da parte del sistema politico, non c’è bisogno di fare tutto da capo. Forse nel Mezzogiorno la situazione è un po’ più grave, ma l’Italia nel suo complesso è in una posizione molto migliore della Grecia. 
È vero. In Italia ci sono imprenditori e territori evoluti, che scommettono sulla tecnologia, sull’innovazione, su prodotti e servizi di qualità per rimanere competitivi.
E questa è la smentita dei dogmi neoliberisti che purtroppo la troika sta applicando alla Grecia, ma che si cercano di applicare anche all’Italia. Non si aumenta la competitività comprimendo il costo del lavoro: eventualmente razionalizzandolo, ma l’insegnamento che ci viene dai Paesi virtuosi della zona euro è che la competitività la si acquista con la qualità, con l’innovazione tecnologica… In Europa non ci sarà mai una Cina, un’India. Il Fmi ha esperienza di interventi fuori dall’eurozona o addirittura fuori dall’Europa, come in Argentina o Uruguay. Dovendo intervenire all’interno dell’eurozona non si sono spremuti le meningi per trovare nuove soluzioni, ma hanno seguito le vecchie ricette, e questo è stato un errore.