Cosa accadrebbe se fallisse la banca depositaria? E se
saltasse l’Unione europea? La situazione è difficile e suscita preoccupazioni.
Ma lo strumento è solido
Il perdurare della crisi finanziaria e il ritardo con cui i
vari paesi coinvolti stanno rispondendo è la causa principale del nervosismo
dei mercati e della crescente incertezza degli investitori. Le informazioni che
vengono divulgate sono tante, spesso contrastanti e non sempre contribuiscono a
dare delle risposte agli innumerevoli quesiti dei risparmiatori.
Per questo vale la pena di richiamare alcuni concetti di
base sui fondi comuni di investimento che possono contribuire a fare chiarezza
e a rispondere ad alcuni dei tanti “Cosa accadrebbe se… ?” che gli investitori
si stanno ponendo sul futuro dei propri risparmi.
I fondi comuni d’investimento sono nati storicamente per
consentire ai risparmiatori di accedere ai mercati finanziari pur non
disponendo di particolari conoscenze e investendo somme di denaro anche
piccole. Questo principio guida ha fatto sì che le caratteristiche dei fondi
fossero tali da tutelare il più possibile i risparmiatori, differenziandoli
dagli altri prodotti finanziari.
Di seguito riprendiamo un documento, pubblicato da
Assogestioni, propedeutico per rispondere a molte delle domande che i
risparmiatori si pongono in questo momento.
Cinque buone ragioni
per avere i fondi d’investimento nel portafoglio anche in periodi di crisi
Qui di seguito vengono analizzate “cinque buone ragioni” che
differenziano i fondi da altri prodotti finanziari e che spiegano perché sia
importante tenere in portafoglio questi strumenti anche durante le crisi:
autonomia, controllo, diversificazione, trasparenza e solidità.
Autonomia. Il patrimonio del fondo è separato da quello
della società che lo gestisce e da chi lo distribuisce. La norma prevede che le
somme investite dai risparmiatori siano custodite nella banca depositaria, una
banca indipendente dalla società di gestione, dal gruppo che la controlla e dal
distributore.
Controllo. Il mercato dei fondi comuni d’investimento è
governato da norme molto severe. Banca d’Italia e Consob vigilano sul rispetto
delle regole a tutela dei risparmiatori.
Diversificazione. I fondi investono in diversi titoli e in
vari mercati per cogliere le migliori opportunità e ridurre il rischio. In
questo modo l’andamento di un singolo titolo non può influenzare
significativamente il risultato dell’intero paniere di titoli. Un concetto
assimilabile all’antico adagio popolare che recita "non mettere tutte le
uova nello stesso paniere".
Trasparenza. Il risparmiatore sa sempre quanto valgono i
suoi fondi e come sono gestiti. Il valore giornaliero è pubblicato sui
principali mezzi di informazione e consente al sottoscrittore di monitorare
l’andamento dei propri investimenti. Ciascuno può scegliere il prodotto più
adatto alle proprie esigenze nell’ambito di una gamma molto vasta, organizzata
in oltre 40 diverse categorie.
Solidità. Osservando gli andamenti storici dei mercati, si
può notare come i fondi, grazie alle loro caratteristiche, hanno sempre aiutato
i risparmiatori a superare i momenti difficili dei mercati finanziari.
Autonomia, controllo, diversificazione e trasparenza sono alcuni dei loro punti
di forza, che insieme li caratterizzano e li differenziano dagli altri prodotti
finanziari e che hanno raccolto negli anni la fiducia di milioni di
risparmiatori.
Fonte: Assogestioni
Partendo da questo patrimonio di conoscenze base, proviamo
adesso a rispondere ad alcune domande.
Cosa accadrebbe se… fallisse una delle società in cui il
fondo ha investito?
La caratteristica della diversificazione fa sì che il
fallimento di una delle aziende in cui il fondo (o la Sicav – società di
investimento a capitale variabile) ha investito avrebbe un effetto sul valore
del fondo stesso prossimo allo zero. Il numero di titoli presenti nel
portafoglio, tranne rare eccezioni, varia da 50, per i portafogli
“concentrati”, a oltre 200 per quelli più diversificati.
Questo ha fatto sì che eventi finanziari quali Parmalat,
Cirio, bond argentini, solo per citare i più noti, abbiano avuto un impatto
diretto ridotto o quasi nullo sui fondi.
Cosa accadrebbe se… fallisse la banca presso cui si è sottoscritto
il fondo?
Il patrimonio del fondo e di conseguenza le quote
dell’investitore (o azioni nel caso di una Sicav) non subirebbero un danno di
tipo patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del
collocatore. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli emessi dal
collocatore, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla
svalutazione della partecipazione.
Operativamente, l’investitore potrà optare tra due
soluzioni: trasferire la propria posizione presso un altro soggetto collocatore
oppure richiedere al Sip, il soggetto incaricato dei pagamenti (precedentemente
conosciuto come “banca corrispondente”), il rimborso delle proprie
azioni/quote.
Dal momento che le azioni/quote sono registrate nel registro
della Sicav/fondo a nome del Sip/collocatore, potrebbe essere necessaria la
certificazione (per esempio da parte di un pubblico ufficiale) dell’autenticità
della richiesta di cambio collocatore o di rimborso presentata
dall’investitore.
In effetti casi di fallimento di soggetti collocatori si
sono già verificati in Italia, senza alcun danno per gli investitori in fondi.
Cosa accadrebbe se… fallisse il soggetto incaricato dei
pagamenti?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di
conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo
patrimoniale, in quanto tale patrimonio è separato da quello del soggetto
incaricato dei pagamenti. Qualora il fondo fosse investito anche in titoli
emessi dal Sip, il patrimonio del comparto ne risentirebbe in conseguenza alla
svalutazione della partecipazione.
Operativamente, l’investitore potrà anche in questo caso
decidere se trasferire la propria posizione presso un altro Sip oppure
richiedere il rimborso delle proprie azioni/quote.
Ricordiamo che attualmente Invesco opera in Italia tramite
otto diversi Sip.
Cosa accadrebbe se... fallisse la banca depositaria?
Anche in questo caso, il patrimonio del fondo e di
conseguenza le azioni/quote dell’investitore non subirebbero un danno di tipo
patrimoniale. Il patrimonio della Sicav/fondo, di proprietà degli investitori,
è infatti segregato e strettamente separato da quello della banca depositaria,
senza alcuna possibilità per i creditori di quest'ultima di aggredirlo.
Cosa accadrebbe se… fallisse la Sicav?
Il fallimento della Sicav implica il fallimento di tutte le
società in cui hanno investito i vari fondi Invesco. Solo questo evento,
infatti determinerebbe l’azzeramento del patrimonio della Sicav. È quindi
ragionevole ritenere che un evento di tal tipo sia altamente improbabile, se
non impossibile.
Cosa accadrebbe se… fallisse l’Unione monetaria europea?
Vi sono principalmente due macro scenari ipotetici in caso
di fallimento dell’Unione monetaria europea. Nel primo scenario, una o più
nazioni periferiche che emettevano monete storicamente deboli (come ad esempio,
Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – anche conosciuti come “Piigs”)
potrebbero abbandonare l’euro e ricominciare a coniare le proprie monete
nazionali. Tuttavia, le nazioni europee più forti continuerebbero a utilizzare
la moneta unica, pertanto l’euro continuerebbe a essere scambiato. In questo
scenario, un fondo comune denominato in euro potrebbe continuare a essere
denominato/quotato in euro.
Tuttavia, a parità di altre condizioni, cambierebbe la
moneta in cui sono espressi i titoli (azioni, obbligazioni, ecc..) emessi nei
paesi periferici in cui è investito il portafoglio del fondo. L’esposizione a
questi titoli potrebbe influenzare la fluttuazione del Nav, il valore degli
attivi del fondo.
Gli investitori residenti in uno dei paesi che hanno
abbandonato l’euro e reintrodotto la moneta locale, continuerebbero a essere
investiti in un fondo espresso in euro e sarebbero dunque esposti alle
fluttuazioni dei tassi di cambio. Le performance del comparto denominato in
euro risentirebbero dell’andamento dei tassi di cambio delle divise sottostanti
al comparto.
Nel secondo scenario, tutte le nazioni dell’Eurozona
potrebbero decidere di abbandonare l’euro e tutti gli stati ricomincerebbero ad
utilizzare le proprie valute utilizzate precedentemente all’introduzione della
moneta unica. In questo caso il comparto precedentemente denominato in euro
dovrebbe cambiare la propria valuta di denominazione. Eventualmente, un gruppo
di nazioni fiscalmente ed economicamente “forti” potrebbe decidere di adottare
una sorta di “nuovo euro”.
Nel caso vi fosse un sistema di tassi di cambio fissi,
potrebbe essere utilizzata una moneta sintetica (come avveniva in passato per
l’Ecu). Al contrario, se ogni nazione tornasse a utilizzare la propria moneta,
il fondo d’investimento potrebbe adottare come divisa di denominazione quella
in cui è maggiormente esposto il portafoglio. Alternativamente, un fondo
potrebbe utilizzare la moneta principalmente utilizzata dagli investitori nel
fondo stesso; questa soluzione risulterebbe però di difficile applicazione per
i fondi comuni collocati in più paesi.
Indipendentemente dalla nuova divisa di denominazione
adottata (ad esempio nuovo euro, moneta sintetica o nuova moneta nazionale), il
calcolo della performance del comparto dovrà essere riadattato per tenere in
considerazione anche il periodo in cui il comparto era espresso in euro.